Un incontro sui temi etici

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 12 giugno, 2010

Nell’ambito della Festa dell’Unità  Due Madonne, sono stato invitato come relatore, insieme a Corrado Melega (ex compagno di liceo e, più recentemente, ex collega in Consiglio comunale) ad una iniziativa dal titolo:

“RU 486-Aborto-Fine vita. A chi lasciamo le nostre scelte?

Ecco in sintesi le cose che ho detto in tale occasione.

I temi etici mettono alla prova la laicità del PD, valore essenziale di un partito che riunisce persone con storie e sensibilità culturali assai diverse. Laicità che si pone trai  due approcci ideologici contrapposti del clericalismo e del laicismo o anticlericalismo.

Il manifesto dei valori del PD contiene passaggi assai significativi sul tema della laicità e degl’interrogativi etici.

In materia di temi etici la Chiesa, meglio ancora il magistero e la gerarchia, debbono soprattutto illuminare le coscienze dei credenti, senza fornire ad essi anche le indicazioni e le soluzioni di carattere legislativo, affidandole alla responsabile autonomia dei laci credenti impegnati in politica e nel temporale: questa è la lezione del Concilio.

In questo senso anche l’espressione “valori non negoziabili” assume a mio giudizio il significato di valori che i credenti sono chiamati a vivere personalmente in modo assoluto e coerente ma che, nel momento in cui sono temi che necessitano, nella sfera pubblica, di soluzioni amministrative e giuridiche, divengono inevitabilmente oggetto di negoziazione, allo scopo di raggiungere la formulazione che meglio corrisponde al maggior bene o al minor male possibile, nelle condizioni date.

Il magistero della Chiesa su temi come l‘aborto, il fine vita o la fecondazione assistita, così come risulta dal Concilio Vaticano II, dal Catechismo della Chiesa cattolica e dal Compendio della Dottrina sociale, è assai netto nella condanna di scelte che contrastano con il diritto alla vita fin dal suo concepimento, che aprono a prospettive eutanasiche o che utilizzano in modo disinvolto e spregiudicato le possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnica in materia bioetica.

Ciò è assolutamente necessario in un momento in cui la cultura dei diritti sembra ignorare quella della responsabilità e si assiste ad un progressivo scivolamento (e degrado) culturale in una direzione individualistica ed egoistica. Se non si pongono limiti chiari c’è il rischio di una deriva verso tesi che affermano che la vita da tutelare è solo quella che “merita ed è degna di essere vissuta.” Ma chi può pretendere di dare tale giudizio?

Nel conflitto d’interessi che si manifesta in pratica su questi temi, la Chiesa si fa interprete degl’interessi del soggetto debole, che non è in grado di tutelarsi da sè, come l’embrione, il feto o il malato terminale, mettendo in primo piano la cultura del dono e della solidarietà. La vita, secondo la morale cattolica, è un dono ed è pertanto un bene indisponibile.

Anche la legge ha il compito di fissare dei paletti che ostacolino queste derive culturali ed etiche.

La legge 194 in materia di aborto è una buona legge, che non può essere interpretata come mezzo per praticare un diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, che viene legittimata solo in particolari circostanze. La legge ha avuto il merito di contrastare il dramma degli aborti clandestini. Detto ciò, e notato che le statistiche dicono che gli aborti sono in costante diminuzione, va anche detto che molto resta ancora da fare per applicare pienamente la legge, anche nei suoi presupporti di prevenzione dell’aborto, impegnadosi di più nell’educazione sessuale, nell’informazione sui metodi contraccettivi, nel potenziamento dei consultori e nella collaborazione, prevista dalle recenti linee guida regionali, con le associazioni di volontariato. La pillola RU 486, da somministrare in ospedale o in day hospital, non rappresenta una scorciatoia per banalizzare una scelta che resta comunque drammatica per la donna che la compie.

Sul fine vita siamo in attesa di una legge nazionale che dovrebbe normare le procedure giuridico-amministrative e mediche previste ed ammesse, per evitare sia l‘eutanasia che l’accanimento terapeutico. Anche la Chiesa concorda su tale impostazione. Il problema riguarda soprattutto la caratterizzazione dell’alimentazione ed idratazione artificiale e le modalità delle Dichiarazioni anticipate di trattamento, coerenti con l’art.32 della Costituzione che prevede il consenso informato del paziente ad ogni trattamento terapeutico.

Infine sulla fecondazione medicalmnte assistita va affermato con chiarezza che non può esistere ed essere legittimato un “diritto al figlio” che implica una considerazione “proprietaria” della genitorialità biologica. Anche qui non si può guardare solo alla sofferenza causata dalla sterilità ma anche al diritto di un bambino ad avere due genitori di sesso diverso, conosciuti, ed uniti da un legame stabile. Oltre alla genitorialità biologica ci sono altri modi per esprimere la propria fecondità. La Chiesa stessa, sia pure con le dovute cautele, non esclude la fecondazione artificiale omologa. La normativa esistente nel nostro paese (sopravissuta ad un referendum che ne aveva chiesto l’abrogazione) è complessa e perfettibile, proprio perchè ci troviamo di fronte ad una problematica complessa anche da un punto di vista medico-scientifico.


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