Le primarie del dopo Cevenini
La dolorosa e, per certi versi, drammatica rinuncia di Maurizio Cevenini (a cui va tutta la mia solidarietà) alla candidatura per le primarie, ha interrotto in modo traumatico il percorso che la coalizione di centrosinistra si era data per la scelta del candidato sindaco di Bologna.
Solo oggi, nel momento in cui ci manca, riconosciamo tutti l’importanza ed il valore che aveva avuto la candidatura del Cev, non soltanto per la sua grande e meritata popolarità, ma anche per l’atipicità di una personalità che riusciva a conciliare ed a riassumere le caratteristiche dell’esponente politico fedele al suo partito, e del candidato civico.
Nessuno, sulla “piazza” bolognese, può vantare oggi le stesse caratteristiche peculiari, fatta eccezione per Romano Prodi, che aggiunge ad esse insuperabili doti di leader e di amministratore di statura internazionale.
Piaccia o non piaccia è inevitabile che, nel momento in cui si cerca un candidato, l’attenzione si appunti sulla persona: questa è la conseguenza della spiccata personalizzazione della politica e, a livello comunale, dell’elezione diretta del Sindaco. Questo senza nulla togliere all’importanza del programma, che serve in prima istanza per delimitare i confini della coalizione e che successivamente, sempre con il concorso dei partiti che la compongono, consentirà al candidato Sindaco di presentarsi agli elettori con le sue proposte per il futuro della città, che saranno alla base del suo mandato amministrativo.
Il percorso che si era cominciato, e che ha prodotto le positive candidature civiche di Amelia Frascaroli e Benedetto Zacchiroli, è giusto e va ora ripreso, con gli slittamenti temporali concordati. Di questo percorso le primarie sono lo snodo fondamentale, ancora accompagnato da molti dubbi sulla sua utilità, all’interno come all’esterno del PD, segno che esso non è stato ancora interiorizzato nel suo significato e nella sua valenza politica.
A tale riguardo questa è la mia opinione.
Le elezioni primarie per la scelta da parte del centrosinistra dei candidati alle cariche monocratiche, vanno fatte non tanto perchè sono previste dalla Statuto del PD (quasi fossero un’amara medicina di dubbia efficacia di cui non si può fare a meno), ma perchè rappresentano uno strumento più democratico rispetto all’alternativa rappresentata dalla designazione da parte delle segreterie dei partiti (non ci lamentiamo tutti del fatto che l’attuale legge elettorale nazionale affida di fatto alle medesime segreterie la scelta dei parlamentari da eleggere?).
Aggiungo che a Bologna la scelta di elezioni primarie vere e non pilotate è stata giustamente vista, da parte della segreteria del PD, come un modo per recuperare quel rapporto della politica con i cittadini che è andato indebolendosi negli anni della giunta Cofferati e che si è incrinato a causa della vicenda Delbono.
Detto ciò, a me pare che lo svolgimento delle primarie rappresenti anche una “cartina di tornasole” per misurare il livello di maturità della società politica e dei partiti che le promuovono, a cominciare dal PD. Gli aspetti, in gran parte interdipendenti tra loro, da considerare per esprimere questo giudizio sono i seguenti:
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il “capitale sociale” dell’insieme dei candidati, dipendente non solo dal loro numero, ma anche dalla varietà e dalla ricchezza dei mondi e dei “pezzi” di città di cui sono espressione, tanto da rappresentare complessivamente una “coalizione a vocazione maggioritaria”;
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la mobilitazione e la partecipazione che le primarie riescono ad attivare, espressa dal numero di coloro che si recano alle urne per esprimere la loro preferenza;
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il ruolo corretto delle segreterie dei partiti, che non dovrebbero sostenere esplicitamente un proprio candidato contro un altro, anch’esso iscritto;
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l’equilibrio tra i candidati e l’incertezza dell’esito, che tuttavia non può essere la condizione per fare le primarie o meno: sarebbe come se non si effettuassero tutte le gare sportive e non, dove c’è un netto favorito;
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il clima della competizione che, pur nel confronto anche netto delle idee e delle proposte politiche, non deve mai assumere toni aggressivi sul piano personale o trasformarsi in guerra senza quartiere. Solo a questa condizione si potrà avere una leale e convinta collaborazione degli sconfitti con il vincitore, senza che ciò implichi, in cambio, posti in giunta o nelle istituzioni.
Il venir meno di uno o più di questi presupposti limita certamente il significato ed il valore delle primarie ma non giustifica in ogni caso il loro superamento, ovviamente scontato solo nel caso in cui sia presente un solo candidato.
Rimane da spendere ancora qualche considerazione sul ruolo del PD e del suo gruppo dirigente nella situazione che si è venuta a creare a Bologna, ma, più in generale, di fronte alle primarie.Un ruolo che non può essere né quello di chi dà un’investitura dall’alto ad un solo candidato, condizionando pesantemente il processo democratico (ed assumendo poi, come nel caso Delbono, una pesante responsabilità di fronte alla città), né quello di semplice notaio e di distaccato garante della correttezza formale delle procedure, ma quello di suscitatore e catalizzatore delle migliori energie e risorse, dentro il partito e nella società civile.
Questo ruolo può comprendere, come nella circostanza attuale, la richiesta di una breve pausa di riflessione politica e di discernimento, che favorisca la maturazione di una o più candidature (le regole statutarie s’incaricano opportunamente d’impedirne la proliferazione ) in spirito unitario. Ciò esclude veti o forzature, ma fa leva unicamente sul senso di responsabilità dei candidati in pectore.
Una preziosa qualità del candidato Cevenini era quella di essere una persona che unisce e non che divide, e credo che questa caratteristica sia assai importante, direi irrinunciabile.
Ciò non esclude, naturalmente, che nelle primarie si realizzi un confronto ed una competizione molto netta tra i diversi candidati, ma ciascuno di essi, per il suo profilo personale, per il suo passato e per lo stile della sua presenza, non deve essere occasione e motivo di lacerazioni e contrasti insanabili.
Questo significa che il centrosinistra in questi giorni deve andare alla ricerca affannosa di un candidato civico che eviti le possibili divisioni interne al PD e che dia soddisfazione a quello spirito “antipolitico” che aleggia ormai anche nella nostra città? Penso che il PD non debba assecondare in modo aprioristico questa “pulsione”, pena l’implicita ammissione di una inadeguatezza strutturale del proprio personale politico-amministrativo, che inciderebbe negativamente sulla propria identità e sulla funzione che questo partito ha sempre pensato di dovere e di potere svolgere nella nostra città.
Commenti dei lettori
Grazie Paolo, sia per aver risposto alle mie modeste considerazioni, sia soprattutto per la chiarezza e lucidità con cui hai sapientemente esposto il tuo punto di vista.
E’ chiaro che condivido pienamente quanto tu scrivi, in particolare i cinque punti “cartina di tornasole” che danno significato alla nobile necessità di effettuare primarie vere e condivisibili nel loro svolgimento e nelle loro finalità.
Mi auguro che il gruppo dirigente del mio Partito recepisca positivamente le tue suggestioni, per il bene di Bologna e di una sana Democrazia.
Ancora grazie e fraterni saluti
Umberto Tadolini