Il Referendum è un errore
Nei giorni scorsi la stampa ha dato notizia dell’intenzione di alcuni cittadini bolognesi riuniti attorno alla Rete Laica, di promuovere un Referendum, istituto di partecipazione previsto dallo Statuto comunale, per chiedere l’abrogazione del finanziamento che ogni anno il Comune di Bologna assegna alle scuole materne (piu correttamente “dell’infanzia”) private convenzionate. Il contributo ammonta a poco più di un milione di Euro.
Virginio Merola ha già espresso il suo parere contrario ed io condivido pienamente la sua opinione, per le ragioni che cercherò di spiegare.
Nella nostra città vige dal 1995 un sistema integrato che comprende scuole comunali, statali ed autonome convenzionate.
Nell’A.S. 2009/2010 erano attive in totale 340 sezioni (con 8102 iscritti) di cui 208 comunali (5100 iscritti), 58 statali (1354 iscritti) e 74 autonome convenzionate (1648 iscritti), per un tasso di copertura totale dei bambini in età 3/5 anni del 95% (rispettivamente 59,8 %, 15,9% e 19,3%). Ad esse si aggiungevano 10 sezioni di scuola autonoma non convenzionata per altri 228 bambini.
Nell’anno scolastico 2007/2008 il Consiglio comunale (del quale facevo parte) decise di eliminare il buono scuola individuale che veniva erogato alle famiglie che avevano scelto la scuola privata, sostituendolo con un sistema di contributi dati direttamente alle scuole e composto da una quota maggioritaria fissa e da una quota variabile sulla base di parametri premianti o penalizzanti, per un totale appunto di circa un milione di Euro.
Questo sistema, che non mi sono limitato ad approvare come consigliere, ma che ho anche attivamente contribuito a costruire ed a migliorare (agl’inizi del 2009 venne approvata una nuova delibera che, sulla base del monitoraggio effettuato, correggeva il sistema dei parametri, rendendolo più “sfidante” in direzione del miglioramento dell’offerta formativa delle scuole private) è a mio giudizio realistico, positivo e non va cancellato ma sempre più perfezionato.
Esso permette infatti di garantire la frequenza della scuola dell’infanzia alla quasi totalità dei bambini in età. Se infatti venisse a mancare il contributo comunale, che, insieme ai contributi statali e regionali copre mediamente il 30% del costo di funzionamento, le scuole convenzionate si vedrebbero costrette a scaricare la minore entrata sulle tariffe pagate dalle famiglie che usufruiscono del servizio (che non sono tutte “ricche”). D’altra parte se il Comune intendesse fare a meno dell’apporto delle scuole private e si sostituisse ad esse con altrettante sezioni a gestione municipale, vedrebbe decuplicati i propri costi, rispetto al contributo erogato.
La proposta di abolizione del contributo, attraverso referendum, appare quindi viziata da un pregiudizio ideologico che penalizzerebbe quelle famiglie meno abbienti che hanno scelto legittimamente, in un sistema integrato, una scuola privata paritaria (si noti per inciso che anche le scuole comunali sono da considerarsi paritarie).
Il Consiglio comunale che sarà eletto il 15 e 16 maggio prossimi, dovrà piuttosto, a mio avviso, modificare ulteriormente i contenuti della convenzione, eventualmente riducendo la quota fissa ed aumentando quella variabile secondo criteri premianti per le scuole che, per modalità gestionali, indirizzi pedagogici, scaglioni tariffari commisurati all’ISEE, ecc.tendano sempre di più ad adeguarsi al modello delle scuole dell’infanzia comunali. Analogamente dovrebbero essere rafforzati i criteri di penalizzazione per tutti i parametri che rendessero “diverse” in senso peggiorativo le scuole private rispetto alle comunali (ad esempio il rifiuto d’iscrizione per un bambino con handicap potrebbe comportare anche l’azzeramento del contributo).
Un ulteriore obiettivo, giustamente segnalato da Merola, dovrebbe essere rappresentato da una modifica del contratto di lavoro degl’insegnanti e dei dipendenti delle materne private, che oggi guadagnano meno dei colleghi comunali.
Tra le ragioni che hanno mosso i promotori del Referendum c’è quella, non priva di una sua logica che suona così: “perchè introdurre, per la prima volta, da settembre 2011 una tariffa per la frequenza delle scuole dell’infanzia comunali, per le famiglie con ISEE maggiore di 17.000 €, da 125.000 a 250.000 € all’anno, che porterebbe alle casse comunali circa 600.000 €? Non basterebbe eliminare il contributo alle materne private?”
Credo di avere già illustrato in precedenza le conseguenze negative dell’abolizione del contributo.
Resta tuttavia la “sgradevole novità” della tariffa sulle materne comunali, introdotta, al pari di numerosi altri aumenti (nidi, refezione scolastica, RSU, sosta ecc.).
Su questo tema esiste in effetti l’ inaccettabile disparità che si verrebbe a creare tra bambini che vanno alla materna comunale e bambini che frequentano la statale. A parte questo aspetto niente affatto trascurabile, debbo dire che ho sempre ritenuto un’anomalia la totale gratuità (refezione a parte) della materna, a valle di un nido che i genitori sono abituati a pagare, a seconda del reddito, anche diverse centinaia di Euro al mese (contro i 15/30 Euro previsti con la nuova tariffa). Al comune le scuole dell’infanzia costano meno dei nidi, ma non tanto, ritengo, da giustificare una tale disparità di trattamento. Non so come finirà questa vicenda: il Comune deve chiudere proprio in questi giorni un bilancio 2011 “lacrime e sangue”. E’ ben vero che il nuovo Sindaco, in presenza di auspicabili miglioramenti della situazione del budget, avrà tempo per revocare l’introduzione della nuova tariffa per le materne, insistendo in pari tempo affinchè lo Stato, nella nostra città, accresca il proprio impegno nella scuola materna, come avviene nel resto d’Italia, consentendo un contemporaneo alleggerimento dell’onere che grava sulle casse comunali.
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