La Costituzione non va “tirata per la giacchetta”
Capita di tanto in tanto che, per suffragare scelte politiche ed amministrative attuali, si cerchi conforto negli articoli della Costituzione.
I due esempi più recenti, a livello del nostro Comune, riguardano il richiamo agli artt.29 e 31 da parte di chi ritiene che le coppie unite in matrimonio meritino un trattamento preferenziale, rispetto alle coppie di fatto, nell’accesso a specifiche provvidenze comunali, ed il richiamo all‘art.33 da parte di chi è contrario al finanziamento comunale alle scuole dell’infanzia private paritarie.
Tutto ciò è perfettamente legittimo, nel senso che la Carta costituzionale, soprattutto nella sua prima parte, contiene i principi fondamentali su cui si basa la nostra Repubblica, principi che non possono essere ignorati o trascurati.
E tuttavia, lo dico essendo tra quelli che ritengono che la scelta di sposarsi non possa essere ridotta a fatto privato ma meriti un apprezzamento sociale in ragione della pubblica assunzione di responsabiità e di doveri che comporta, dagli articoli della Costituzione non derivano automatiche ricadute su delibere e decisioni amministrative.
I principi costituzionali allora vanno deattualizzati, contestualizzati e calati nella specifica situazione soioeconomica nella quale vanno prese le decisioni. Non basta insomma citare la lettera della Costituzione ma si dovrebbe interpretarne lo spirito, evitando, da parte di tutti, qualsiasi strumentalizzazione.per ragioni di carattere ideologico.
Io resto convinto, confortato in questo dagli articoli della Costituzione, che nel momento in cui il Comune indirizza alcune sue provvidenze alle giovani coppie (prestiti sull’onore, autorecupero, finanziamento per l’acquisto della casa) o individua nella giovane coppia una condizione meritevole di riconoscimento (sia pure modesto, come nelle graduatorio per l’ERP) sia ragionevole differenziare i richiedenti, attribuendo maggiori diritti a coloro che assumono pubblicamente impegni a cui corrispondono maggiori doveri e responsabilità. Penso che questa opinione sia meritevole di confronto e di approfondimenti e non possa essere liquidata sbrigativamente come sorpassata ed arcaica.
E veniamo a coloro che invocano l’art.33 della Costituzione (“le scuole private sono ammesse purchè senza oneri per lo Stato”) per negare la possibilità che il Comune continui ad erogare (come avviene dal 1994) contributi alle scuole dell’infanzia paritarie private ed hanno chiesto l’effettuazione di un referendum consultivo su tale argomento.
Mi pare che costoro sottovalutino il fatto che tali scuole offrono un servizio a circa 1600 bambini che non potrebbero essere accolti dalle scuole comunali e statali. L’onere a carico del Comune (poco più di un milione di euro) è nettamente inferiore a quello necessario a realizzare e gestire 80 sezioni pubbliche di scuola materna. Meglio allora continuare a contribuire al funzionamento delle scuole paritarie private, all’interno di un sistema integrato (simile a quello, altrettanto sensibile, del servizio sanitario nazionale, che si basa, oltre che su strutture pubbliche, su presidi privati convenzionati) che comprende scuole statali, comunali e private, utilizzando la convenzione che giustifica il finanziamento pubblico per rendere il sistema sempre più omogeneo per quanto riguarda le regole di accesso(handicappati, immigrati), la gestione e gl’indirizzi pedagogici.
Al Comune non mancano, da questo punto di vista, gli strumenti di controllo : essi vanno resi sempre più efficaci, utilizzando i parametri dai quali dipende l’erogazione del finanziamento come strumenti d’incentivazione o di dissuasione: In questo senso la quota fissa che viene erogata potrebbe essere costantemente ridotta dando maggiore peso alla quota variabile, dipendente appunto dai parametri che dovrebbero essere costantemente monitorati e modificati con cadenza anche annuale.
Si potrebbe in particolare utilizzare l’ammissione alle scuole private convenzionate di quei bambini che resterebbero in lista d’attesa per le scuole statali e comunali, come criterio per dosare il finanziamento pubblico.
Mi pare che questa impostazione salvaguardi il carattere pubblico della scuola dell’infanzia bolognese nel suo complesso e ridimensioni il significato della espressione “senza oneri per lo Stato”.
Commenti dei lettori
la similitudine con il servizio sanitario mi pare abbia un limite: per il paziente i costi sono gli stessi in presidio privato e in struttura pubblica (es: esame del sangue) mentre l’alunno “costretto” alla scuola privata da limiti di posti nel pubblico deve pagare una retta, nonostante i contributi dati alle private (insufficienti a coprire i costi?).
E’ vero. E’ per questo che ritengo che la convenzione vada adeguata per tenere conto di ciò. Si potrebbe introdurre un parametro, che pesi molto in senso relativo ripetto agli altri, rapportato proprio al numero dei bambini non accolti (nonostante la domanda) dalle statali e comunali ed accolti dalle paritarie, distinguendoli da coloro che scelgono tout court le private per ragioni di preferenza personale. Ciò potrebbe contribuire a limitare l’onere a carico della famiglia “costretta” ad optare per le private. Certo rimarrebbe sempre una differenza rispetto agli utenti delle statali e comunali che non pagano nulla (refezione a parte). Tra parentesi a me è parsa demagogica la scelta di cancellare la quota introdotta dalla Cancellieri: la gratuità sotto 17000 € di ISEE, 125 € all’anno fino ad un massimo di 250. Si pensi che un bambino alla scuola dell’infanzia costa al Comune circa 6000 € all’anno.
Caro Paolo, condivido sostanzialmente la tua impostazione riguardo alla questione delle materne. Le paritarie hanno un ruolo fondamentale che non può essere sminuito.
In assenza delle convenzioni, molte sarebbero costrette a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di chiudere e, paradossalmente, si finirebbe per favorire la sopravvivenza degli istituti più “d’élite” e per far chiudere inesorabilmente le realtà più popolari. Il Comune, che non solo già ora fatica - come tutti sanno - a fornire alle materne comunali dei fondi decenti, e non riesce a fare fronte a una lista d’attesa comunque troppo lunga, si troverebbe in difficoltà spaventose e probabilmente insuperabili. Paradossalmente (ma non troppo!), soprattutto in presenza di un quadro nazionale drammaticamente refrattario a investire fondi sull’istruzione, la chiusura delle materne paritarie significherebbe la crisi del sistema pubblico (integrato!) dell’istruzione, almeno a livello della materna.
Ciò detto, penso che un elemento su cui lavorare dovrebbe essere la libertà di scelta educativa delle famiglie: “valore” su cui fra l’altro mi sembra che concordino tutte le parti.
Nella libertà di scelta (senza voler immiserire questo concetto, che ha un valore estremamente più ampio) rientra sicuramente il fatto - caro alla Chiesa - che chi sceglie una scuola cattolica, o d’altro genere, non dovrebbe essere duramente penalizzato da quote esageratamente alte. Ma ci rientra anche il fatto che una famiglia che opta per la scuola pubblica dovrebbe poter vedere soddisfatta questa propria opzione.
Bada bene, io sono certo che la questione “ideologica” sia solo uno dei fattori che intervengono nella scelta della scuola materna da parte delle famiglie, e che nella maggior parte dei casi prevalgano criteri logistici e d’altro genere - e sempre più, con l’acuirsi della crisi, criteri economici. Tuttavia come c’è un certo numero di famiglie che opta per la scuola cattolica per convinzione (vale lo stesso per altre scuole private dotate di altra impostazione educativa), così pure ce ne sono altre che attribuiscono alla scuola comunale/statale un valore di scelta forte.
Credo che sia un elemento da tenere in conto e la cui soddisfazione permetterebbe di valorizzare in pieno l’idea di un sistema integrato e “plurale” dell’offerta scolastica
in cui le famiglie possono optare - all’interno di una rosa di condizioni logistiche, geografiche ed economiche accettabili - per la soluzione che maggiormente soddisfa le loro esigenze propriamente educative.
Grazie per il tuo contributo, caro Luca. Lo condivido in pieno.
Paolo