Diritti e doveri. Qualche considerazione.
Quando leggo o ascolto considerazioni ed opinioni sul tema “coppie sposate-coppie di fatto” o “matrimonio tra eterosessuali-matrimonio tra omosessuali” mi capita di pensare come si stia a poco a poco diffondendo una sorta di “banalizzazione” delle differenze. Lo strumento che, usato arbitrariamente, produce questo effetto mi pare sia l’uso talvolta strumentale dei “diritti” sempre svincolati dai “doveri, responsabilità, impegni”, ovvero l’enfasi posta (inopportunamente) sul “diritto a non essere discriminati”, come se trattare in modo diverso situazioni e condizioni diverse rappresentasse di per sé un’ingiustizia inaccettabile.
Ciò non significa, evidentemente, che le coppie di fatto, comprese le coppie omosessuali, non abbiano diritto al riconoscimento di alcuni diritti (in base all’art.2 della Costituzione) ma, nell’individuare questi diritti, non si potrà non tenere conto anche delle diversità e dei doveri-impegni-responsabilità che ogni condizione, dal punto di vista oggettivo, implica.
A conforto di questa opinione trascrivo nel seguito un passo tratto dal n.43 dell’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVII sul tema del rapporto tra diritti e doveri. Anche se il riferimento è al tema dello sviluppo tra i popoli, mi sembra che il brano abbia un significato culturale più generale.
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« La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere » . Molte persone, oggi, tendono a coltivare la pretesa di non dover niente a nessuno, tranne che a se stesse. Ritengono di essere titolari solo di diritti e incontrano spesso forti ostacoli a maturare una responsabilità per il proprio e l’altrui sviluppo integrale. Per questo è importante sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano doveri senza i quali si trasformano in arbitrio . Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l’altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell’umanità . Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli. La relazione sta nel fatto che i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L’esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri. I doveri delimitano i diritti perché rimandano al quadro antropologico ed etico entro la cui verità anche questi ultimi si inseriscono e così non diventano arbitrio. Per questo motivo i doveri rafforzano i diritti e propongono la loro difesa e promozione come un impegno da assumere a servizio del bene. Se, invece, i diritti dell’uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune. I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l’oggettività e l’« indisponibilità » dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo . Comportamenti simili compromettono l’autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunità internazionale assuma come un dov ere l’aiutarli a essere « artefici del loro destino » , ossia ad assumersi a loro volta dei doveri. La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione di diritti.
Commenti dei lettori
Caro Paolo, forse ho inteso male ma, mentre mi sembra del tutto condivisibile l’etica della responsabilità relativa ai doveri, mi è meno chiaro il legame di questo tema con quello relativo alle coppie di fatto, coppie omosessuali ecc.: almeno in base alla mia sensibilità non mi pare infatti che esse rivendichino un diritto al superfluo o, peggio, alla trasgressione e al vizio. Meno ancora mi è chiara la motivazione per la quale esse dovrebbero godere di un numero più limitato di diritti. Forse la vera questione attiene a chi e come debbano fissarsi i diritti e i doveri. Chi li debba decidere, insomma.
La Storia insegna che i diritti sono stati progressivamente riconosciuti dalla collettività in base al mutamento dell’economia (vedi i diritti sociali) e, per quanto attiene i diritti civili, alla crescita di sensibilità della società, ovvero superando antichi e forti pregiudizi (una volta non aveva senso ritenere che le donne o i neri o gli animali avessero dei diritti). La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sta oggi alla base dei diritti umani di ogni individuo del pianeta. O forse (e qui perdonami la provocazione)per poter avere la garanzia che i doveri temperino i diritti con l’etica della responsabilità essi dovrebbero essere fissati esclusivamente in un “quadro antropologico ed etico” stabilito dal Magistero cattolico anziché dalle autorità civili ? Se avessimo aspettato i voleri dei papi circa i diritti umani, temo che saremmo legati ancora ai tempi antecedenti la secolarizzazione, vale a dire ai diritti-doveri che oggi, più o meno, sono ravvisabili in molte società islamiche. Grazie per l’attenzione e un caro saluto.
Stefano Bovero
Caro Stefano, grazie a te per il tuo contributo. Provo a precisare il mio pensiero.
Per quanto riguarda il tema “coppie sposate-coppiedi fatto” penso che il giusto riconoscimento di alcuni diritti per queste ultime non dovrebbe portare ad una totale equiparazione perchè questo significherebbe disconoscere il valore ed il significato non solo privato ma pubblico degl’impegni e delle responsabilità che si assumono sposandosi.
Per quanto concerne il tema “matrimonio tra omosessuali” credo che non si possa sostenere che vietare il matrimonio agli omosessuali rappresenti una discriminazione nei loro confronti. Vuol dire soltanto che la giusta richiesta di riconoscimento di una unione affettiva tra due persone non implica necessariamente l’applicazione di un istituto proprio delle coppie eterosessuali, così come regolato dalla Costituzione e dal Codice civile.