L’omelia dell’arcivescovo per S.Petronio.Quale sussidiarietà?
Ho letto con interesse e con attenzione il testo dell’ omelia di mons. Caffarra nel corso della messa per la festa di S.Petronio e l’ ho trovata ricca di riflessioni e stimoli assai penetranti. Per scaricarla cliccate su
http://www.bologna.chiesacattolica.it/arcivescovi/caffarra/2011/2011_10_04.php
Mi è piaciuto innanzitutto l’augurio (e la preghiera) perchè chi ha responsabilità istituzionali nella nostra città ottenga la “sapienza necessaria”. Di solito si dice che un politico deve essere onesto e competente. Chi ha un po’ di familiarità con la Bibbia sa che la sapienza è una qualità e un dono che ricomprende certamente queste caratteristiche ma che le supera e le integra.
Mi è piaciuta anche l’espressione “amicizia civile”, “il legame più forte di ogni città”, che corrisponde in qualche modo all’altra espressione “coesione sociale”, assai più usata nel lessico politico, ma che rappresenta a mio giudizio qualcosa di più forte e di più diretto, applicato alla relazione tra abitanti di una stessa “civitas”. Ed importante mi è sembrata anche la sottolineatura della “modalità di esercitare la propria libertà” che interpreto nel senso che, accanto alla istintiva e frequente rivendicazione dei propri diritti andrebbero anche considerati ed esercitati i doveri e le responsabilità che l’appartenenza ad una comunità civile implica.
Mi è parso invece restrittivo (forse per esigenze di brevità) tradurre il degrado di Bologna prevalentemente in termini di “sporcizia”.
Nella seconda parte della sua omelia l’arcivescovo si sofferma sul tema della “sussidiarietà”, considerata come l’espressione operativa dell’ amicizia civile e come la traduzione, densa di conseguenze anche sul piano politico-amministrativo, della “conversione culturale e della trasformazione di mentalità” oggi necessaria alla nostra città.
Ed è proprio su questo tema che si sono registrati i commenti di diversi esponenti politici e della società civile, anche perchè forse mai come in questi tempi si parla di sussidiarietà, a ragione ed a sproposito, in riferimento alla necessità di contenere i costi della pubblica amministrazione per riuscire a chiudere il bilancio di previsione 2012 del Comune, in presenza dei tagli operati dal governo e dei limiti del patto di stabilità, senza ridurre i servizi erogati.
La sussidiarietà chiama in causa, come sottolinea mons. Caffarra nelle sue conclusioni, il rapporto tra pubblico e privato e quello gerarchico tra società civile ed istituzioni pubbliche.
Le parole dell’arcivescovo mi stimolano ad alcune riflessioni sul tema.
Innanzitutto la sussidiarietà non può essere la copertura culturale di un’operazione di semplice dismissione di servizi pubblici a favore dell’imprenditoria privata o cooperativa, a fini di risparmio di spesa.
Va poi ricordato che, nella nostra città, non si parte da zero. Già adesso l’erogazione di servizi e prestazioni pubbliche avviene attraverso la gestione pubblica diretta o in convenzione da parte di imprese o cooperative profit o la collaborazione del settore no profit (associazionismo, volontariato).
Allora il primo passo potrebbe essere quello di una ricognizione complessiva, ambito per ambito (socioassistenziale, educativo, culturale, sportivo ecc.) della situazione esistente, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Credo che questo potrebbe contribuire a marginalizzare approcci ideologici ancora presenti per cui tutto il buono (efficienza, efficacia, economicità) sta da una parte e tutto il negativo dall’altra. Credo anche che i risultati di questa ricognizione dovrebbero essere resi noti attraverso il Bilancio Sociale, e potrebbero entrare a far parte del quadro conoscitivo del Piano Strategico al quale il Comune di Bologna si appresta a mettere mano. Potrebbe anche essere l’occasione per dare vita a quel “Consiglio permanente per la sussidiarietà” che mons.Caffarra ha proposto di istituire.
Dopo di che, alla luce della valutazione della situazione esistente, si tratterebbe a mio giudizio:
- di esaminare la possibilità di un ulteriore ricorso alla gestione in convenzione di determinati servizi, soprattutto ai fini di un incremento qualiquantitativo dei servizi stessi, fermo restando che i servizi pubblici dovrebbero rappresentare lo standard di riferimento e che il Comune dovrebbe conservare in ogni caso il suo ruolo di regolazione e controllo.
- di verificare se esistano ulteriori possibili forme di collaborazione da parte del mondo dell’associazionismo, rappresentato nelle Libere Forme Associative, e dal volontariato. Penso ad esempio ad esperienze come quelle che danno vita all’ Estate ragazzi, ad Auser ed Ausilio, ai Centri sociali per anziani, alle Caritas parrocchiali.… E’ un immenso serbatoio di capitale sociale, in alcuni casi anche assai qualificato, che in alcuni casi va stimolato e messo in valore, va appoggiato anche economicamente (con cifre modeste che talvolta non coprono nemmeno le spese) e soprattutto va considerato dal Comune non come accessorio ma come protagonista della vita cittadina.E’ evidente che l’associazionismo ed il volontariato, per le loro caratteristiche intrinseche, non possono certo soddisfare tutta la gamma dei bisogni che una società complessa come la nostra esprime. E tuttavia da questo mondo spesso emerge una progettualità che va incoraggiata, promossa e coordinata con la programmazione pubblica.
- di sostenere con ogni mezzo ed in ogni forma, la famiglia nella sua vocazione naturale alla solidarietà intergenerazionale, oggi più che mai messa alla prova.
Commenti dei lettori
Non posso che condividere la tua analisi, punto per punto. Penso, tuttavia, che la progettualità non può essere attribuita esclusivamente all’associazionismo e al volontariato, ma va espressa da questi soggetti insieme agli enti locali: insomma, vedo progettualità e programmazione come fasi che si intrecciano piuttosto che susseguirsi.
Quanto alle proposte di Caffarra, è una bella occasione per continuare il dibattito anche all’interno del PD che continua a muoversi ancora troppo sul piano ideologico.
Ti suggerisco la lettura del bel saggio di Michel Crozier, Stato moderno, Stato modesto. Strategie per un cambiamento diverso, Edizioni Lavoro. Ci sono idee molto interessanti
Grazie Ivana, anche per il suggerimento di lettura. Sono poi d’accordo con te sul fatto che progettualità (soprattutto) e programmazione non sono di esclusiva pertinenza di associazionismo e volontariato. Ho soltanto voluto sottolineare che questi soggetti spesso sono capaci di esprimere una progettualità originale che le istituzioni pubbliche non devono “snobbare” ma hanno il dovere di valutare con attenzione e, se del caso, sostenere concretamente.
Caro Paolo,
credo che l’omelia del Cardinale potrebbe essere uno spunto prezioso per riflessioni approfondite sulle sussidiarietà da parte di laici e cattolici insieme, oltre le consuete e banali contrapposizioni: bisognerebbe trovare un “luogo” adatto in cui confrontarsi abbandonando definitivamente i pregiudizi, per usare le parole del Cardinale.
Aggiungo alcune riflessioni.
1) Mi sembra interessante la tua proposta di una ricognizione complessiva … della situazione esistente, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Secondo te chi potrebbe/dovrebbe farla?
2) Concordo con te che nell’omelia sembra restrittivo (forse per esigenze di brevità) tradurre il degrado di Bologna prevalentemente in termini di “sporcizia”. Se proprio vogliamo limitarci agli aspetti “visivi” ed immediati, forse possiamo parlare anche di come ci muoviamo sul suolo pubblico, qualunque sia il mezzo che utilizziamo: l’aggressività che esibiamo è talmente diffusa che non ci facciamo neanche più caso.
3) Ritengo ugualmente restrittivo limitare a tre sole esperienze storiche (la liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù egiziana; l’esperienza della polis greca; la costruzione giuridica edificata da Roma) il merito di aver generato il nostro modo occidentale di pensare e di esercitare la libertà; soprattutto quando la successiva affermazione (La corruzione che ha subito l’idea e l’esperienza di libertà è stato ed è il principale fattore di mortificazione dell’amicizia civile, anche nella nostra città), sembra quasi suggerire l’idea che, dopo i Romani, venti secoli di storia abbiano soltanto fatto dei danni. Le solite esigenze di brevità?
4) Il cuore del ragionamento del Cardinale mi sembra il seguente: “Sussidiarietà significa … che il bene comune della nostra città è raggiunto solo mettendo assieme sui contenuti essenziali del medesimo bene municipalità, imprese, e la società civile organizzata nel cosiddetto terzo settore”. Ma come concordare su questi “contenuti essenziali”? Il Cardinale parla di “vera conversione culturale”. Ma come arrivarci? La proposta di un “Consiglio permanente per la sussidiarietà” mi pare un po’ riduttiva, direi fuori scala rispetto alla grandezza dell’obiettivo (anche se non saprei indicare qualcosa di meglio) per due motivi:
- primo: la proposta dà per scontato che tutti concordino sulla sussidiarietà come mezzo privilegiato per raggiungere il fine (il bene comune);
- secondo: individuare “contenuti essenziali” mi sembra un compito forse troppo arduo per una consulta; mi sembra il compito della politica vera e propria. O no?
5) Lo spirito di un “colloquio” tra laici e cattolici (o tra pubblico e privato – e chissà poi perché si è instaurata questa specie di “proporzione” laico sta a cattolico come pubblico sta a privato?) dovrebbe proprio essere quello di “una armonia che vede pubblico e privato nella loro diversità, reciprocità e complementarietà.”
Bisognerebbe quindi vedere tutti i problemi dai due punti di vista:
- E’ vero che “Va pienamente riconosciuta la funzione sociale del privato: si pensi alla famiglia”: ma quanti sono i sostenitori del privato che misconoscono il valore del pubblico!
- E’ vero che alcuni hanno una concezione ancillare del rapporto della società civile colle istituzioni pubbliche e quindi che imprese, società civile diventano semplicemente funzionali all’amministrazione, alla sua programmazione ed organizzazione: ma non guasterebbe una riflessione sull’atteggiamento spesso meramente rivendicativo (leggi: richiesta di fondi e poi lasciate fare a noi) del privato nei confronti del pubblico.
Forse anche il privato ha qualcosa da rimproverarsi …
Grazie Nando per il tuo commento ampio ed articolato. Sulla domanda che poni al punto 1) risponderei che probabilmente, dal momento che il tema è davvero strategico, esso potrebbe essere approfondito da un gruppo di lavoro, formato da esponenti rappresentativi delle tre componenti, nell’ambito del Comitato per il Piano Strategico.