Le “pagelle” ai dipendenti pubblici
In questi giorni,stando a quanto riportato sulle cronache locali dei quotidiani, il sindaco Merola ha proposto l’attribuzione ai dipendenti comunali di “pagelle” formulate anche con il contributo dei cittadini. Sulla base di queste valutazioni dovrebbe essere distribuita la parte variabile dello stipendio (premio incentivante) che premierebbe i lavoratori più efficienti e meritevoli.
Non mi pare che la proposta sia stata illustrata nei suoi necessari dettagli (si è anche letto, se non sbaglio, del web come strumento a disposizione dei cittadini per i loro giudizi), ma i sindacati hanno subito manifestato tutte le loro perplessità.
Mi pare di capire che attualmente, per ragioni di contenimento della spesa pubblica, il premio incentivante rischi di non essere più assegnato.
Sarebbe un errore perchè, oltre a sottrarre risorse ai lavoratori, in tempi di crisi economica, priverebbe anche la pubblica amministrazione di uno strumento utile per premiare ed incentivare la produttività e per migliorare la qualità dei servizi resi ai cittadini.
Si tratta di mettere a punto un sistema di valutazione (concordato con i sindacati dei lavoratori) composto da parametri il più possibile oggettivi e misurabili secondo criteri trasparenti, a disposizione dei dirigenti, per apprezzare il contributo di ciascun lavoratore all’attuazione del programma di lavoro definito ad inizio d’anno. Sulla base dei risultati si distribuisce tra i dipendenti una parte del premio incentivante, mentre l’altra può essere distribuita in parti uguali o a seconda del livello d’inquadramento.
Naturalmente l’applicazione di un sistema che genera differenze salariali (sia pure di entità simbolica) tra dipendenti di pari qualifica può generare discussioni e polemiche tra i dipendenti stessi. E’ compito e responsabilità dei dirigenti, che saranno a loro volta valutati da parte di chi li ha nominati (il Sindaco), applicare il sistema con equità, essendo in grado di motivare adeguatamente le valutazioni fatte. E’ certamente possibile che nel fare differenze tra collaboratori un dirigente commetta ingiustizie ma è sicuramente ingiusto anche valutare allo stesso modo lavoratori che oggettivamente danno contributi e apporti qualitativamente e quantitativamente diversi.
E il giudizio dei cittadini, evocato dal sindaco Merola?
Credo che esso possa e debba contribuire al giudizio complessivo sul lavoratore (che resta di competenza del suo dirigente)nei casi in cui l’attività si svolge in tutto o prevalentemente a contatto col pubblico. Penso ad esempio a tutto il personale ospedaliero, o a chi lavora ad uno sportello di ricevimento del pubblico. Non ho dubbi che il sistema di valutazione di questi lavoratori, dovrà essere strutturato in modo da tenere conto del giudizio di quei cittadini (utenti o clienti, come si usa dire adesso, con un termine che assimila l’ente pubblico fornitore di servizi ad un’azienda produttrice di beni) che hanno usufruito delle loro prestazioni.
Credo varrebbe la pena di tentare. O forse da qualche parte un sistema come questo è già stato applicato…… Sarebbe interessante sapere se ha dato buona prova di sé oppure no.
Commenti dei lettori
Lavoravo in azienda privata, metalmeccanica: il sistema degli incentivi funzionava così.
I sindacati concordavano con l’azienda alcuni obiettivi collettivi annuali, quantificati con numeri (espressi in diverse unità di misura, ad es: euro di fatturato, percentuali di scarto, tempi di completamento di un progetto …); a seconda della percentuale di raggiungimento dell’obiettivo veniva distribuita una percentuale del premio massimo corrispondente al 100%; chi aveva stripendi più alti aveva un premio un po’ più alto.
Poi, per i dipendenti di più alto livello impiegatizio e per i dirigenti, venivano concordati fra il collaboratore e il suo capo alcuni obiettivi individuali annuali; le modalità di definizione degli obiettivi e dei conseguenti premi erano più o meno analoghe. Questi obiettivi non erano controllati in alcun modo dal sindacato, e non erano resi “pubblici”.
Funzionava? Tutto sommato direi di sì.
Pecche più grosse: errata definizione di alcuni obiettivi (risultavano controproducenti per l’organizzazione nel suo complesso, o non controllabili da chi li doveva raggiungere), e mancata estensione del sistema individuale a livelli impiegatizi più bassi, e a quelli operai.
Sfaterei comunque l’idea della assoluta oggettività nella definizione dell’obiettivo e, soprattutto, in quella della performance. A livello individuale, alcuni obiettivi erano (direi necessariamente) di tipo “qualitativo”, e quindi la performance veniva giudicata dal capo con insindacabile giudizio (seppur dopo contradditorio/spiegazione col collaboratore). Nella maggior parte dei casi, i capi giudicavano secondo verità e buon senso, oltre che secondo quanto il collaboratore collaborava veramente e non rompeva le scatole per partito preso.
Meglio chiarire che ero sia collaboratore che a mia volta capo, e che facevo parte del sindacato.
Io credo che anche nel pubblico bisognerebbe fidarsi un po’ più dei capi (se no perché sono stati messi lì?) e dare loro una giusta dose di discrezionalità.
Nando
Ti ringraziomolto per il tuo contributo che condivido, caro Nando
Salve, prima di tutto mi fa molto piacere vedere che la sua salute comincia a migliorare.
Per quanto l’articolo in questione, io come lei ben sa, sono un dipendente pubblico e come molti miei colleghi l’ente per cui lavoro ha già applicato questa norma. Non posso entrare nel merito, ritengo solo come dice il Sig. Nando che sia necessario buon senso e verità, e in questo forse l’apparato pubblico è spesso carente…
Fidarsi dei capi?
Perchè sono stati messi lì?
domande molto molto interessanti…
Grazie del tuo messaggio, cara Loredana. Commento soltanto col dire che la fiducia i capi se la debbono conquistare giorno per giorno con il loro comportamento e non “perchè sono stati messi lì”.
Un abbraccio.
Paolo