PD, ovvero la crisi del settimo anno.
La profonda crisi che il Partito Democratico sta vivendo, a quasi sette anni dalla sua nascita (ottobre 2007) è una crisi politica, che non può certamente essere spiegata con le ragioni che spesso sono alla base di una crisi di coppia. E tuttavia a me pare che qualche analogia la si possa trovare.
In estrema sintesi il PD nasce dalla volontà di soggetti ed esponenti diversi per storia e tradizioni culturali, percorsi politici, sensibilità sui temi etici, che decidono tuttavia di unirsi e stare insieme per un progetto comune sintetizzato nello Statuto, nel Manifesto dei Valori e nel Codice Etico.
Gli anni che seguono sono segnati da momenti di successo e di entusiasmo (come le elezioni dei segretari e le primarie, fino alle ultime del novembre 2012) e da sconfitte (la caduta del governo Prodi II), delusioni ed errori (come la gestione della recente fase post elettorale).
Tutto questo ci può stare. Ma quello che è grave e che oggi pesa è il fatto che in tutti questi anni si è accuratamente evitato il dialogo, il confronto interno, l’ascolto reciproco, a tutti i livelli, tra le diverse anime che compongono il partito, condizione questa necessaria (anche se un po’ scomoda) perchè le diversità, senza annullarsi, potessero almeno conoscersi, apprezzarsi e “contaminarsi” (brutta espressione ma non ne so trovare una migliore). Si è preferito ignorare e trascurare questo lavoro, impegnandosi soltanto nel fare e nell’organizzare, accontentandosi forse troppo di un’ unità fondata soprattutto sul cemento dell’antiberlusconismo.
E allora capita che quando la sconfitta e la delusione è più forte, come in queste ore, e quando, per le ragioni che conosciamo, si è costretti a mettere tra parentesi l’antiberlusconismo, cominciano a venir meno le ragioni dello stare insieme, forse perchè non le si è fondate a sufficienza, e prendono il sopravvento le tante diversità (cui si aggiunge anche quella generazionale).
Ci sono due fatti, nelle vicende di questi giorni, che mi paiono un sintomo particolarmente grave di questo scollamento del PD.
Il voto dei 101 parlamentari o delegati regionali del PD, tuttora sconosciuti, che non hanno votato per Prodi: se manca addirittura il coraggio di manifestare apertamente il proprio tradimento (dandone almeno giustificazione), vuol dire che siamo alla frutta.
Il venir meno della regola della maggioranza (ci si confronta, si vota, ma poi tutti si adeguano alla decisione che è risultata prevalente) è un sintomo evidente del fatto che da parte di tanti, ormai, non si ravvisano più ragioni sufficienti per procedere insieme, è venuto meno cioè il senso di una comune appartenenza.
Sarà il Congresso a dire se la crisi del settimo anno sarà fatale al PD oppure se si riuscirà a ritrovare le ragioni di un cammino unitario.