Dopo le elezioni regionali
Lo dico da renziano della primissima ora, di oggi e (spero) di domani.
Il risultato delle elezioni regionali merita di essere valutato e “gestito” con grande saggezza ed acume politico, evitando insomma l’arroganza dei pasdaran alla Enrico Carbone (“il PD è comunque il partito del 38 %”) o limitandosi a ricordare che il bilancio della segreteria Renzi è di 10 regioni a 2. E’ vero che la presenza di numerose liste a sostegno dei candidati governatori ha sottratto al PD voti che in un’elezione diversa si sarebbero in parte recuperati, ma questo non basta a giustificare il risultato del Veneto e della Liguria, oltre che della Campania e dell’Umbria, che meritano qualche riflessione autocritica,ciò che non è mai segno di debolezza.
Quello che va accuratamente evitato è offrire lo spettacolo di un partito lacerato e diviso, che si prepara ad una “resa dei conti” di cui la querela di De Luca alla Bindi è soltanto il primo, triste, atto: penso che molti elettori del PD non capiscano e non gradiscano che il carattere plurale del PD si trasformi da una ricchezza (da vivere con impegno e senso di responsabilità) in una babele nutrita di ostilità e di feroci contrapposizioni.
Renzi, come sappiamo, ricopre due ruoli, quello di Presidente del Consiglio e quello di segretario del PD.
Nel primo ruolo, a mio parere, dovrebbe assumere un atteggiamento dialogante e di ascolto, con la minoranza interna, sulle riforme in agenda, analogamente a quanto è stato fatto sulla riforma elettorale e su quella della scuola, nel senso cioè di accogliere quelle richieste di modifica che non ne stravolgono l’impianto e non ne rinviano a tempo indeterminato l’approvazione, ma poi pretendere con fermezza il rispetto della disciplina di partito, nelle votazioni conclusive dei provvedimenti. Questo vuol dire giungere fino all’espulsione di chi non si adegua? Penso che si debba fare di tutto per evitare diarrivare a tanto, per non creare delle “vittime” e lasciare ai dissidenti di trarre loro le conclusioni del proprio comportamento, come è stato per Civati.
Come segretario, Renzi dovrebbe dedicare, d’ora in poi, o direttamente o per interposta (ma capace ed affidabile) persona, maggiore attenzione alla situazione del PD nei territori, mettendo ai margini trasformisti ed opportunisti e favorendo la crescita di una leva di dirigenti giovani, credibili e capaci, anche se non necessariamente “allineati” e fedeli, gente, soprattutto, abituata a non vivere di politica.
Tornando al tema della litigiosità, scarsamente apprezzata dagli elettori, noto che essa non è presente solo nel PD ma anche in altri schieramenti politici: nel centrodestra fra Lega e Forza Italia si prospettano scintille (non è casuale che il centrodestra si sia affermato dove ha trovato due leaders come Zaia e Toti che fanno della moderazione e del basso profilo la loro cifra distintiva). Anche nel NCD si profila una divisione fra i governativi a tutti i costi e coloro che ritengono più opportuno unirsi fin da subito al centrodestra.
Il risultato elettorale del M5S non è stato travolgente ma ha confermato un consolidamento del movimento anche a livello locale. Dopo le espulsioni e le defezioni di qualche mese fa, pare che i 5S abbiano trovato nel Direttorio (unito e concorde, almeno in apparenza) ed in un ruolo meno appariscente di Beppe Grillo una formula valida. Oltre all’unità, gli elettori continuano ad apprezzare nel movimento la rinuncia a buona parte delle indennità ed il non coinvolgimento in scandali e corruzioni varie, insomma il carattere di novità e diversità nel panorama delle forze politiche: penso che questo dovrebbe essere motivo di attenta riflessione da parte del PD.
Infine qualche osservazione sull‘astensionismo che, nelle recenti elezioni regionali ha raggiunto quasi il 50% (ricordo che in Emilia Romagna, l’autunno scorso, andò a votare circa il 37% degli aventi diritto). Non voglio sottovalutare il fenomeno ma credo che esso vada relativizzato.
Innanzitutto ha certamente pesato il carattere locale e parziale della votazione, oltre al fatto di essere caduta in una data (un caldo e lungo ponte di fine maggio) che non ha favorito la partecipazione.Inoltre io non credo che la quota maggioritaria dell’astensionismo sia particolarmente “nobile”, nel senso di essere espressione di una domanda delusa di buona politica che non trova rappresentanza. Dico questo perchè l’offerta politica era comunque ampia e comprendeva riformismi moderati di destra e di sinistra, estremismi e populismi (soprattutto di destra), rabbia e promessa di cambiamento. Penso insomma che la netta maggioranza di chi non è andato a votare lo ha fatto per disinteresse, estraneità e qualunquismo.
Detto ciò non v’è dubbio che il PD debba impegnarsi a fondo per riconquistare la maggior parte possibile dell’astensionismo e sono convinto che questo sia possibile se Renzi saprà mantenere dritta la barra delle riforme e del rinnovamento del paese.