Diritti civili
In questi giorni si parla molto di diritti civili, con particolare riguardo alla legge sulle unioni di fatto e ad alcuni problemi che ruotano attorno a queste.
Ritengo che sia ormai giunto il momento che il nostro paese, dopo un colpevole ritardo di molti anni, approvi una legge che regoli le unioni di fatto tra coppie etero od omosessuali, riconoscendo ad esse una serie di diritti analoghi a quelli di cui godono le coppie unite in matrimonio.
Ritengo altresì che non si possano equiparare le unioni di fatto ai matrimoni, sia in forza dell’art.29 della Costituzione, sia in riferimento a quella che a me pare l’opinione ancora prevalente nel nostro paese, che risente anche dell‘etimologia stessa della parola.
Mi sembra interessante notare infattiche la parola italiana matrimonio continua la voce latina matrimonium, formata dal genitivo singolare di mater (ovvero matris) unito al suffisso –monium, collegato, in maniera trasparente, al sostantivo munus ‘dovere, compito’. Dunque matrimonio, rispetto ad altri termini che vengono correntemente impiegati con significato affine, pone, almeno in origine, maggiore enfasi sulla finalità procreativa dell’unione. L’etimologia stessa fa riferimento al “compito di madre” più che a quello di moglie, ritenendo quasi che la completa realizzazione dell’unione tra un uomo e una donna avvenga con l’atto della procreazione, con il divenire madre della donna che genera, all’interno del vincolo matrimoniale, i figli legittimi.
La sostanziale equiparazione dei diritti tra coppie di fatto e coppie unite in matrimonio dovrebbe portare con sé, per le prime, anche gli aspetti che attualmente penalizzano chi è sposato. Ad esempio, ai fini fiscali o per la definizione dei ticket sanitari, il calcolo del reddito familiare complessivo.
Uno dei punti più discussi della legge è quello che riguarda la cosiddetta stepchild adoption, vale a dire la possibilità che dovrebbe essere data, in una coppia omosessuale, di adottare il figlio biologico del o della partner. Chi si oppone a questa norma porta come motivazione della propria contrarietà il fatto che in questo modo si aprirebbe la strada alla odiosa pratica dell’utero in affitto che nel nostro paese è, giustamente, vietata. Francamente non riesco a comprendere questo ragionamento.
Ciò che è riprovevole e che andrebbe scoraggiato, a mio giudizio, è il riconoscimento nel nostro paese di una paternità ottenuta, all’estero, attraverso l’utilizzo di una maternità surrogata e a pagamento. L’adozione da parte del partner (la stepchild adoption) mi sembra piuttosto priva di giustificazione in quanto, se non sbaglio, un bambino, per essere dichiarato adottabile, deve trovarsi in condizione di mancanza di genitori ovvero in presenza di genitori naturali riconosciuti inidonei od incapaci di provvedere adeguatamente alla educazione del figlio. Se è già presente un genitore naturale idoneo (e magari ne esiste anche un altro, dell’altro sesso, non più convivente con il primo) che bisogno c’è di aggiungerne un altro, frutto della nuova unione?
Sento poi che per superare le obiezioni c’è la proposta di sostituire l’adozione con un affido, che si trasformerebbe in adozione al compimento della maggiore età. Questa soluzione mi sembra che snaturi completamente quella che è la vera funzione dell’affidamento, mentre non si comprende davvero la necessità dell’ adozione di una persona ormai avviata ad essere pienamente responsabile di se stessa.
Infine, sono completamente d’accordo con la legge in corso di approvazione al Parlamento, che prevede la possibilità che un minore dato in affidamento ad una coppia, possa, una volta dichiarato adottabile, continuare a vivere nel medesimo contesto familiare, senza essere costretto ad andare a vivere presso altri genitori adottivi, diversi da quelli affidatari, come capita oggi, con tutte le negative conseguenze dal punto di vista affettivo.
P.S. (4 gennaio 2016).
Aggiungo qualche ulteriore considerazione in relazione al dibattito sulla stepchiladoption, sempre più acceso in vista dell’esame della legge da parte del Senato, prevista a fine mese. Nel confermare quanto scritto sopra aggiungo che, così come non si può giungere (attraverso il riconoscimento di alcuni diritti) ad identificare le unioni di fatto con i matrimoni, analogamente non si può attribuire il titolo di genitore adottivo al compagno/a del genitore naturale, in quanto, se le parole hanno un senso, non può essere genitore chi non ha contribuito in alcun modo a generare il minore. Se il problema è quello di attribuire a tale figura un ruolo di responsabilità nell’accudimento del bambino/a, ciò può essere fatto attraverso deleghe da parte del genitore effettivo, come si fa usualmente nei confronti ad esempio di uno zio/a.