Caro Sergio ti scrivo….
Nei giorni scorsi ho scritto una lettera al senatore Sergio Lo Giudice in merito alle legge sulle unioni civili in discussione al Parlamento. Ne trascrivo il testo qui di seguito. Sarò lieto di rendere pubblica anche la eventuale ed auspicabile risposta di Sergio.
Caro Sergio, ho deciso di scriverti per manifestarti le mie opinioni ed il mio stato d’animo in merito alla legge sulle unioni civili all’esame del Parlamento.
Mi sono spesso venute in mente le nostre discussioni sul tema, nel corso della comune (e bella) esperienza di consiglieri durante il mandato Cofferati.
Innanzitutto sono d’accordo sul fatto che il disegno di legge Cirinnà venga approvato per quanto riguarda la regolamentazione sia delle unioni civili tra coppie omosessuali, sia delle convivenze tra coppie etero. In questi giorni si parla giustamente più delle prime che delle seconde perchè per quelle non esiste la possibilità di contrarre matrimonio, usufruendo delle relative tutele.
Credo anche giusto (mi pare che su questo esista una larga convergenza, anche se so bene che tu la pensi in modo diverso) che sia nel caso delle unioni civili che delle convivenze, la regolamentazione, fatta di diritti e doveri, non ricalchi completamente quella del matrimonio, sia perchè (per le unioni civili) non siamo nelle condizioni di cui all’art.29 della Costituzione, sia perchè (per le convivenze) non avrebbe senso creare un doppione del matrimonio civile (tra parentesi sarà interessante vedere quanti dei conviventi etero usufruiranno delle possibilita offerte dalla legge, una volta, come auspico, che sarà approvata).
Credo, esaminati i pro ed i contro, che sia opportuno che la legge contenga anche la stepchild adoption. Non sto a fare l’elenco dei pro e dei contro (ovviamente secondo me) ma ritengo che la somma algebrica dia un risultato positivo.
Detto questo lascia che ti esprima ancora due brevi considerazioni.
La prima non è, lo riconosco, di capitale importanza, perchè rispecchia più che altro una sensibilità, credo non solo mia. Preferirei che i partners di una coppia omosessuale non si chiamassero reciprocamente “marito” (tra due maschi) o “moglie” (tra due femmine), termini che si addicono ad una coppia unita in matrimonio, ma più semplicemente compagno/a. Così come l’utilizzo di “padre” e “madre” andrebbe riservato ai genitori naturali. Ma, lo ripeto, si tratta soltanto di una sensibilità che ritiene che le parole abbiano assunto storicamente un significato che rispecchia la realtà a cui si riferiscono e che non può essere stravolto.
La seconda riguarda te ed il tuo compagno Michele. In questi giorni ho letto le interviste che hai rilasciato alla Cappelli ed alla Bignami su Repubblica, ed ho visto il servizio di ieri sera a Presa Diretta. In nessuna occasione gl’intervistatori ti hanno chiesto ragione della scelta, che avete fatto, di ricorrere alla maternità surrogata, pratica non consentita (ritengo giustamente) nel nostro paese e non condivisa dalla maggioranza degli italiani per ragioni, che non sto qui a richiamare, che attengono alla difesa di valori (rispetto della dignità della donna, rifiuto della mercificazione della gestazione) a cui, per come ti conosco, dovresti essere sensibile. Io ho provato ad immaginare quale potrebbe essere la tua risposta al riguardo, una risposta che, forse, motiverebbe la vostra scelta con l’amore che vi unisce e con quello per Luca. Se così fosse ritengo che un fine anche buono e nobile non giustifichi il mezzo utilizzato: qui la somma algebrica, almeno per me, dà un risultato negativo.
Sarò lieto di conoscere il tuo punto di vista e, con l’occasione, ti saluto cordialmente.
Paolo
Commenti dei lettori
Caro Paolo,
ti rispondo volentieri riprendendo un dialogo su questi temi che , come ricordi. ci ha impegnati in diverse occasioni.
Mi fa piacere che tu condivida l’impianto della legge, che ha cercato l’incontro tra posizioni diverse. Per quanto mi riguarda, se sarà approvata la considererò un primo passo verso quell’uguaglianza che potrà essere raggiunta solo con l’accesso agli stessi istituti indipendentemente dall’orientamento sessuale . Ci arriveremo, questo è certo, perché la strada è segnata. Ad oggi non solo 14 Stati europei hanno esteso il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, ma questa è stata la scelta di quasi tutti i grandi paesi cattolici del mondo (Spagna, Portogallo, Francia, Irlanda, Belgio, Brasile, Argentina. Uruguay, Messico…) .
Ad ogni modo, oggi parliamo di un istituto distinto, i cui contraenti non si chiamano , secondo il disegno di legge, marito e moglie, ma “parti dell’unione civile”.
Io sono sposato in Norvegia con Michele ed ho, in quel paese come in tutti i paesi del mondo che riconoscono il matrimonio egualitario ( oltre a quelli citati, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Sudafrica ed altri ancora) lo status e il nome di marito.
In Italia , come in altri paesi africani, asiatici o dell’est europeo, non c’è ancora la consapevolezza che, nel pieno rispetto del sacramento religioso del matrimonio e delle sue caratteristiche, il matrimonio civile é un istituto giuridico laico che non può tollerare discriminazioni, così come non tollera più limitazioni come il divieto di matrimoni interrazziali, presente in Europa e in America fino a pochi decenni fa.
Riguardo al fatto che la parole “padre” e “madre” vengano utilizzate solo per definire i genitori “naturali”, mi chiedo se ti riferisci solo ai genitori omosessuali o se invece vorresti negare l’uso di quel termine ai genitori adottivi eterosessuali. Mi stupirei in un caso come nell’altro.
Per quanto riguarda la mia scelta di ricorrere alla gestazione per altri per far nascere nostro figlio, volentieri rispondo alla tua domanda.
No, non motivo questa scelta solo per l’amore per Michele e per Luca. Sono un moralista intransigente con me stesso e non avrei mai avviato questo percorso se non fossi stato convinto che avrebbe prodotto solo amore e felicità e non dolore e mancanza di rispetto per nessuno. È difficile per me descrivere qui in Italia una situazione culturale, sociale, di relazioni, oltre che normativa, così diversa dalla nostra qual è quella che ho vissuto in California durante questa esperienza, così simile a quelle che avevo conosciuto o che mi erano state raccontate dagli altri papà gay italiani di Famiglie Arcobaleno. Niente a che vedere con quelle situazioni di sfruttamento di donne povere o non libere di scegliere che si verificano in quei paesi del terzo mondo in cui l’accesso alla gestazione per altri é del tutto precluso alle coppie gay.
Abbiamo conosciuto una donna fantastica, libera e consapevole, che, come prevede la legge locale, per partecipare a questo percorso ha dovuto dimostrare una stabilità economica e familiare . Abbiamo conosciuto la sua famiglia, il marito, la loro bambina, i suoi genitori . Ci siamo incontrati più volte e ci siamo scelti a vicenda prima di partire per quel viaggio emozionante che ha portato alla nascita di una nuova vita.
Da allora siamo in costante contatto, ci scambiamo settimanalmente notizie e foto, presto li andremo a trovare. Lei avrà un ruolo nella vita di nostro figlio. Non certo il ruolo di madre, che lei non sente di certo suo, ma quello di chi ha fatto venire al mondo Luca, portandolo dentro di se per nove mesi, e per questo manterrà sempre con lui un legame speciale. Se Luca lo vorrà, a sedici anni potrà poi conoscere la donna che ha donato il suo ovulo, con cui abbiamo condiviso di lasciare alla sua futura decisione questa possibilità.
Capisco che tutto questo possa essere lontano dalla tua sensibilità e dalle tue convinzioni . Per me la cosa fondamentale rimane che le uniche persone rese più infelici da questa vicenda sono quei tanti integralisti che mi inviano i loro insulti sui social. Non certo K. che sulla sua pagina Facebook commuove le sue amiche ( e noi) per il modo sereno e affettuoso con cui condivide e commenta le foto di questo bambino a cui è orgogliosa di avere dato la vita.
Un caro saluto
Sergio
Caro Sergio, ti ringrazio per la tua sollecita ed argomentata risposta.
Innanzitutto vorrei ulteriormente motivare le ragioni del mio consenso al ddl Cirinnà, anche in riferimento alle critiche avanzate dalla CEI.
Non v’è dubbio che, al di là del diverso riferimento costituzionale (art.2 anziché art.29), la regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze tenda ad assimilare queste formazioni sociali al matrimonio, ma credo che questo, oltre all’attribuzione di diritti, porti anche all’assunzione di doveri e responsabilità ed alla conseguente stabilizzazione istituzionale di queste relazioni e questo non dovrebbe essere motivo di rammarico. Inoltre, rispetto alla stepchild adoption, è ben vero che ogni bambino ha diritto ad avere un padre ed una madre, ma nel momento in cui comunque un bambino esiste, figlio di uno dei due componenti della coppia omosessuale, credo che affiancare ad esso un’altra figura con ruolo genitoriale, sia comunque meglio che impedirlo.
Tuttavia continuo a ritenere che questa figura (e vengo ad una replica a Sergio) non possa essere definita padre o madre, perchè di padri e madri un bambino non può averne più di uno.
Ti sono poi molto grato, caro Sergio, per aver chiarito con tanta precisione i rapporti che hanno legato te e Michele con la donna che ha donato il suo ovulo e con colei che ha accolto nel suo grembo Luca, e quelli che, almeno nelle vostre intenzioni, cercherete di mantenere in futuro. Ne emerge un quadro di grande senso di responsabilità e di partecipazione affettiva che testimonia della vostra serietà, che francamente non so quanto sia rappresentativa di tutti coloro che hanno fatto la stessa scelta e che comunque non modifica il mio giudizio negativo sulla gestazione per altri.
Ciò naturalmente non giustifica in alcun modo gl’ insulti che ti sono stati rivolti e per i quali ti manifesto la mia più ampia solidarietà.
Cari Sergio e Paolo, vi ringrazio per la serietà, e nobiltà con cui esponete e motivate le vostre opinioni, non poi così distanti. Confesso che fatico alquanto a comprendere alcuni dettagli dell’uno e dell’altro. Ma non è molto rilevante, è solo un mio limite, per ora. La cosa grande, di cui vi sono immensamente grato, è il vostro reciproco sforzo di arrivare a condividere le rispettive posizioni, e la nobiltà della vostra fraterna relazione UMANA. Buona vita a voi e alle Persone che amate, che amiamo.
Grazie a te, caro Umberto.
Cari Paolo e Sergio, ho letto con grandissimo piacere il vostro scambio di opinioni su un tema rispetto al quale è in corso nel Paese un acceso dibattito. Al di là delle mie opinioni personali, penso che se in questo dibattito ci fosse un decimo del rispetto e dello sforzo di comprendere le sensibilità altrui che avete dimostrato voi, si potrebbe essere tutti un po’ più ottimisti per il futuro. Complimenti ad entrambi
Bellissimo confronto: grazie a Paolo e Sergio!
Grazie Andrea per il tuo apprezzamento. Conservo sempre un bel ricordo di te e del tuo impegno come presidente del quartiere S.Stefano.
Un abbraccio.
Grazie a te Roberto.
Spero che presto riusciremo tutti a comprendere che la genitorialità è un fatto di cultura e come tale destinato ad evoluzioni e mutamenti. Nell’interesse di tutti, soprattutto dei bambini e della Vita stessa.
Caro Paolo,
ho seguito sul tuo sito lo scambio con il senatore Lo Giudice in merito alla legge sulle unioni civili in discussione al Parlamento. Esprimo anch’io a te ed al senatore (che non ho il piacere di conoscere personalmente) il mio apprezzamento per l’argomentazione seria e puntuale delle proprie personali motivazioni espressa nel rispetto delle altre sensibilità. Mi rivolgo a te perché ci accomuna l’amicizia e la condivisione di valori e ideali e perché, anche su questi temi ora in discussione, abbiamo già avuto modo di confrontarci; inoltre, poiché tu sai che sono mamma adottiva e mamma di un giovane gay, comprendi che quanto scrivo viene da un’esperienza personalmente vissuta.
Condivido tutto quello che scrivi rispetto alla necessità che venga approvata la legge sulle unioni civili e che è bene che contenga anche la stepchild adoption, perché nel momento in cui un bambino esiste, figlio biologico o adottivo, applicare l’art. 44 della Legge 184/83, prevedere cioè la ricucitura legale dei legami che già di fatto esistono nel mondo degli affetti, è prima di tutto diritto del bambino. A questo riguardo apro una parentesi per dire che personalmente approverei l’adozione “nel supremo interesse del Minore” anche da parte di una coppia omosessuale ed anche da parte di un single.
Anch’io sono decisamente contraria alla cosiddetta maternità surrogata, pratica tra l’altro utilizzata da coppie eterosessuali , e che non ha nulla a che vedere con i diritti delle coppie omosessuali. Avere un figlio non è un diritto, ma è il bambino che ha diritto ad avere i genitori (quelli biologici prima di tutto e, se con essi non può vivere, genitori adottivi o affidatari). La gestazione per altri, al di là delle espressioni di affetto e responsabilità con le quali il senatore Lo Giudice l’ha presentata, resta, secondo me, uno strappo nella vita di un bambino; infatti la vita non inizia al momento della nascita e durante la gestazione si instaura un rapporto profondo con la madre, che non è un’incubatrice. Inutile nascondersi che, al di là di situazioni particolarissime, ad offrirsi alla gestazione per altri siano per lo più donne costrette dalla miseria a prestare il proprio corpo ed a cedere ad altri il proprio bambino per denaro. Contro questa ingiustizia e questo sfruttamento ritengo sia necessario battersi, perché i diritti di tutti vengano considerati e tutelati.
Permettimi Paolo di esprimerti con franchezza che non sono d’accordo su quanto dici in relazione all’uso dei termini: per quanto riguarda il termine di marito/moglie la questione non mi pare di grandissima importanza, vorrei soffermarmi invece sull’uso dei termini di “padre” e “madre”. Non credo assolutamente che vadano riservati solo ai genitori naturali, essere padre e madre è di più, molto di più che mettere al mondo biologicamente un figlio; significa volersi coinvolgere nella vita di quella persona, di quello che sarà il futuro di quel bambino, per sempre. Questo naturalmente riguarda in primis i genitori biologici, ma laddove essi non siano in grado o non vogliano farlo, riguarda i genitori adottivi, affidatari e riguarda anche quello che oggi (in particolare riferendosi alle famiglie ricostituite dopo una separazione o un divorzio) viene definito “genitore sociale”. Per dirla con Neera Fallaci: “Di mamma non ce n’è una sola”. Direi anche di più, una sorta di genitorialità riguarda in qualche modo tutti noi adulti che, nei confronti di ogni bambino, specialmente di quelli meno tutelati, abbiamo il dovere di svolgere un ruolo protettivo e siamo responsabili del nostro comportamento e delle nostre scelte.
In attesa di proseguire a voce il confronto, un caro saluto
Francesca Netto