Il referendum del 17 aprile

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 22 marzo, 2016

piattaforma

Una piattaforma in mare

Vorrei fare alcune considerazioni sul referendum che si svolgerà il prossimo 17 aprile, riprendendo in parte riflessioni che condivido, di Rudi Fallaci.

Questo referendum nasce da un’ iniziativa di 9 regioni (tra cui manca l’Emilia Romagna) contro una legge sbagliata del governo, che avrebbe consentito nuove trivellazioni in mare per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa. Grazie all’iniziativa delle regioni ed alle pressioni dei movimenti ambientalisti il governo ha fatto marcia indietro. Questa vittoria ha di fatto svuotato il pacchetto di referendum, lasciandone in piedi un piccolo brandello che a quel punto forse sarebbe stato logico e saggio ritirare.

Il quesito residuo infatti non ha niente a che vedere con nuove trivellazioni, già vietate, ma riguarda solamente la durata residua di attività di quella ventina di piattaforme di estrazione di gas (non di olio) attualmente funzionanti entro le 12 miglia: se può essere fino ad esaurimento del giacimento (come consente la legge attuale) o alla scadenza dell’ attuale concessione.

Allora, per cominciare, lo stesso slogan NO-TRIV su cui è impostata la campagna, veicola un messaggio scorretto e disinformante (sulla pagina web del Coordinamento nazionale No-triv, del quesito referendario non c’è traccia!) mentre la prima cosa che ci si aspetterebbe dal movimento ambientalista è un’informazione scientificamente corretta e non ideologica.

Sul merito. Abbiamo il dovere di ridurre progressivamente il consumo di combustibili fossili, ma dobbiamo avere chiaro che il gas, per l’Italia quasi tutto di importazione, rappresenta circa il 30% dei consumi energetici nazionali, e la parte che viene bruciata per produrre energia elettrica può certo essere rimpiazzata nel tempo dalla crescita delle rinnovabili. Ma l’altra parte rappresenta la fonte maggioritaria per il riscaldamento delle case, funzione dove non è al momento sostituibile con il solare o l’eolico o l’idroelettrico, e dove rappresenta la soluzione largamente incentivata negli ultimi decenni in quanto la meno inquinante (a parte il geotermico), meno inquinante anche delle biomasse!

Un Governo fortemente ambientalista potrebbe fare un Piano Energetico Nazionale che dimezzi l’uso del gas entro i prossimi 15, ma non potrebbe prevedere di azzerarlo.

E allora cosa significa dismettere e smantellare le piattaforme di estrazione già funzionanti, prima dell’esaurimento dei loro peraltro limitati giacimenti, se non semplicemente la sostituzione della modesta quota di produzione nazionale con corrispondenti importazioni dall’estero?

Anche l’argomento dell’inquinamento del mare causato dalle piattaforme non è sostenuto da dati significativi, né dall’esperienza di tutti questi anni, per quanto riguarda i suoi effetti su turismo, qualità delle acque, pesca e coltivazione dei mitili.

Nè è possibile trascurare l‘impatto sull’occupazione che deriverebbe da uno smantellamento delle piattaforme prima dell’esaurimento dei giacimenti.

Sembra allora che in tutto ciò manchi una vera coerenza ambientalista ed una visione globale, e che si prenda questo come pretesto per battaglie che hanno finalità politiche di altro genere, come la lotta al governo Renzi, a cui si vuole comunque mandare un segnale, utilizzando un elemento (la durata delle piattaforme) che, in realtà, è del tutto insignificante.

Aggiungo che questo referendum mi ricorda, per molti versi, quello sull‘acqua pubblica, soprattutto per il carattere marcatamente ideologico e fuorviante del suo slogan: com’ è noto infatti l’acqua è già pubblica, sia dal punto di vista della proprietà del bene che di chi detiene il potere di regolazione e di determinazione dell’affidamento della gestione del servizio e delle tariffe.

Detto questo, credo che il PD debba assumere una posizione critica rispetto al referendum (tra parentesi appare alquanto incoerente che parlamentari della sinistra PD che hanno votato la legge oggetto del referendum, ora s’impegnino per la sua abrogazione) ma che non debba invitare esplicitamente all’astensione.

Resta il fatto che, a differenza delle consultazioni elettorali politiche ed amministrative, che implicano un diritto/dovere di voto, nel caso del referendum abrogativo un cittadino non ha a mio giudizio alcun obbligo politico o morale di andare a votare su un quesito che ritenga (a torto o a ragione) sbagliato e fuorviante.

Commenti dei lettori

Paolo, tutte considerazioni equilibrate e corrette. Manca una cosa, però: pur essendo minimale, il referendum, se approvato, non consente il prolungamento della concessione dopo la scadenza. Che è fra 5 o 10 anni. Un tempo non lunghissimo ma abbastanza lungo affinché noi facciamo prima qualcosa in coerenza con obiettivi europei e COP21. Altrimenti è inutile firmare questi obiettivi. La stessa occupazione la si può, con questi tempi, rimpiazzare gradualmente su lavori nelle rinnovabili, certamente più labor intensive. Infine: finora non è successo nulla, ma avere trivellazioni entro le 12 miglia in un mare come l’Adriatico significa proprio andarsela a cercare.

#1 
Scritto da Loris Marchesini il 22 marzo, 2016 @ 17:39

Caro Natali, l’ultimo governo di centrosinistra che ha fatto qualcosa di serio per la transizione energetica, indispensabile per sganciarci dal carbonio, è il secondo Prodi, con Bersani all’industria e Pecoraro all’ambiente. Nel 2011 applicando i conti energia di Prodi, l’Italia fece un balzo epocale nelle installazioni delle fonti rinnovabili e così oggi abbiamo l’equivalente di un paio di centrali nucleari, però alimentate con sole e vento, senza scorie di alcun genere. Poi però dal 2012 arrivarono i vari Romani, Monti, Letta e Renzi e le rinnovabili si sono subito fermate, mentre hanno ripreso fiato gli estrattori e venditori di fonti fossili, che avevano seriamente cominciato a preoccuparsi. La partecipazione al referendum e il voto al Sì, al di là della lettera del quesito, assume il senso di un’opportunità per dare un segnale al governo: stop alle trivelle e torniamo al sole e al vento. Per esempio approvando i progetti di eolico marino che languono nei cassetti dei ministeri e favorendo un’equilibrata incentivazione di tanti nuovi impianti solari. La transizione energetica è vitale per raggiungere gli obiettivi di COP21 e contenere i danni del cambiamento climatico entro limiti sopportabili. Un saluto

#2 
Scritto da Vittorio Marletto il 22 marzo, 2016 @ 19:02

Grazie Loris. Corretto anche quello che scrivi tu. Si tratta di capire, sfrondato il dibattito dagli opposti estremismi, cosa si privilegia: lo sfruttamento completo di una risorsa già a disposizione (con i relativi rischi, costi e benefici) o una rinuncia ad essa, con le conseguenze relative, che presentano anch’esse risvolti positivi e negativi.

#3 
Scritto da Paolo Natali il 23 marzo, 2016 @ 10:17

Caro Paolo Natali, grazie per avermi girato le tue argomentazioni - che in parte condivido.
Io, pur essendo ancora convintamente pro-Renzi per la poderosa azione di riforme, respingo con forza l’infelice invito a non andare a votare. Una perdita d’immagine che peserà a lungo sul PD.
Ritengo anch’io che una vittoria del Sì (ma anche una ampia partecipazione al voto) sarà un forte segnale di richiesta di energie rinnovabili, con incentivi allo studio ed alle sperimentazioni.
Un abbraccio, Piero

#4 
Scritto da Piero Vannucci il 16 aprile, 2016 @ 16:17

Caro Piero, innanzitutto grazie per avere letto le mie argomentazioni. Anch’io non ho condiviso l’invito al non voto (che considero peraltro legittimo) da parte di Renzi. Credo che sulle rinnovabili il nostro paese abbia già raggiunto risultati invidiabili, da migliorare ulteriormente, ma questo non è in alternativa a consentire il completo sfruttamento di una risorsa energetica della quale non potremo fare a meno ancora per molti anni. Ricambio l’abbraccio a te ed Alba.

#5 
Scritto da Paolo Natali il 17 aprile, 2016 @ 09:21

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