La legge sulle unioni civili
L’approvazione della legge sulle unioni civili e sui patti di convivenza è, secondo me, una buona notizia, di cui porta merito il governo Renzi e la maggioranza che lo sostiene. Era una legge attesa da molti anni, che i governi dell’Ulivo non erano riusciti a fare approvare. I partiti di opposizione hanno reagito in modo diverso: Sel-SI ha approvato la legge (pur votando no, ovviamente, alla fiducia), il M5S si è astenuto (mi pare con un certo imbarazzo), FI si è divisa tra chi (i più) ha votato no e chi ha dato il suo consenso alla legge, la Lega oltre a votare no ha (in evidente stato confusionale) invitato i suoi sindaci a boicottarne l’applicazione.
Mi preme anche, da credente, dire la mia opinione rispetto all’atteggiamento della Conferenza Episcopale Italiana che, per bocca di mons. Galantino ha criticato il fatto che il governo abbia posto la fiducia per accelerare l’approvazione della legge (“una mancanza di rispetto per coloro che sono stati eletti”). Anche sui contenuti della legge sono stati espressi giudizi negativi da parte di esponenti della gerarchia cattolica.
Mentre le critiche sul metodo mi sembrano del tutto opinabili, quelle di merito non mi paiono in sintonia con l’atteggiamento della chiesa e di papa Francesco nei confronti della famiglia, così come emerge dallo svolgimento e dalle conclusioni del recente Sinodo.
Cerco di spiegarmi. E’ noto che per la chiesa cattolica il modello di famiglia è quello fondato sul sacramento del matrimonio tra un uomo ed una donna. Tuttavia non s’ ignorano le situazioni definite “irregolari”, rispetto alle quali l’esortazione apostolica “Amoris laetitia” scritta dal papa a conclusione del Sinodo sulla famiglia, assume un atteggiamento improntato al discernimento, all’accoglienza ed alla gradualità. Vorrei citare a questo riguardo alcuni paragrafi (78, 295, 305).
In particolare il n.78 così recita (le sottolineature sono mie):
«Lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo ispira la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile o sono divorziati risposati. Nella prospettiva della pedagogia divina, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico – ed è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove – può essere vista come un’occasione da accompagnare verso il sacramento del matrimonio, laddove questo sia possibile»
Ora, fermo restando quello che rimane l’orizzonte ideale che la Chiesa propone (sacramento del matrimonio) come non vedere che la legge di recente approvata, nella misura in cui rafforza la stabilità di un legame d’amore tra persone etero od omosessuali, e dà a questo legame un’evidenza pubblica, con assunzione di diritti e doveri, va nella direzione auspicata e merita, non una censura ma un impegno di vicinanza e di accompagnamento da parte dei credenti?