Lo stato del PD
Il direttore de Il Regno, Gianfranco Brunelli, sul suo blog ha dedicato alla situazione del PD questo amaro commento che, da iscritto deluso al PD sento di condividere.
Questo Partito democratico, così com’è, con questi leader e questa linea politica non serve più. Non serve al Paese, né all’evoluzione politica del campo di centro-sinistra. La sua autoreferenzialità sul piano del potere (stare comunque e con chiunque purché al governo), il suo settarismo sul piano ideologico da PCI (si pensi ad esempio a Bettini, ideologo senza incarichi nel partito), l’esercizio della democrazia interna mai sperimentata e ora annunciata come possibile con la clausola «salvo COVID», ne fanno una «Cosa» disfunzionale allo sviluppo democratico del Paese.
Un PD non più «a vocazione maggioritaria» e divenuto proporzionalista puro è lo specchio del fallimento della storia riformista del Paese. L’esperienza del governo Conte è stata rivelatrice della sua involuzione politica: finire subalterni al Movimento 5 Stelle che si voleva egemonizzare è un capolavoro. Ora che Conte conferma di voler stare in politica e di starci come leader dei 5 Stelle, dando vita a un movimento «progressista» che punti a entrare nel Partito socialista europeo, quel fallimento si invera.
Il vecchio PCI, nella sua «doppiezza» – teoria e prassi politica togliattiana per accedere e accettare la democrazia liberal-democratica –, che prevedeva nel partito una distinzione tra il gruppo dirigente (l’aristocrazia del partito), che mediava politicamente rinviando sine die la rivoluzione, e il partito di massa delle sezioni che praticava un modello di partecipazione educativa e poteva sopportare ogni rinvio in nome della propria «diversità», non ha lasciato classe dirigente e non ha più popolo.
Terminate le ragioni storiche della «doppiezza», esaurita ogni «diversità» nel duplice scenario di un esercizio del potere fine a sé stesso e di un partito d’opinione radicaleggiante, di quella stagione sono rimaste solo le scorie.
Il Partito democratico, esito del processo ulivista, è stato la grande occasione del riformismo italiano. Ma essa oggi è naufragata. Il doppio fallimento di Bersani e di Renzi e l’opportunismo acritico degli ex democristiani della Margherita hanno condotto qui.
Vedere dapprima nei 5 Stelle la risorsa elettorale e generazionale per ringiovanirsi un po’; scambiare il loro giustizialismo, il loro moralismo, il loro statalismo come progetto politico innovativo per il Paese (mentre si trattava e si tratta di vecchi slogan populisti); e ora acclamare Conte quale «carta decisiva del fronte democratico» (dove il concetto decisivo è «fronte democratico»): significa mettere in piedi un omicidio-suicidio politico. Quello del centrosinistra. In questo scenario il sondaggio reso noto ieri da SWG racconta di un Movimento 5 Stelle primo partito assieme alla Lega al 22%, e di un PD al 14% (-4,3%). Motus in fine velocior.