Amarcord il Pilastro
In un recente incontro della Commissione diocesana “Cose della politica” si è parlato dei “non luoghi”, cioè di quegli spazi che hanno la prerogativa, secondo l’antropologo francese Marc Augé, di non essere identitari, relazionali e storici. A questo proposito, benchè non corrisponda alla categoria classica dei non luoghi (sale d’aspetto, fermate dei bus, ascensori ecc.) mi è venuto in mente, almeno alla sua origine, il villaggio del Pilastro. Questo mi ha portato a ripensare alla sua storia ed alla sua evoluzione.
Il Pilastro nasce agl’inizi degli anni ‘60, all’interno del P.E.E.P. (Piano per l’edilizia economica e popolare) bolognese. Lo I.A.C.P. (Istituto Autonomo Case Popolari), l’attuale A.C.E.R., progetta e realizza un complesso edilizio destinato soprattutto ad immigrati dal meridione e da zone depresse del Ferrarese e del Polesine, utilizzando un’area ubicata ben al di là della Tangenziale, nel quartiere S.Donato. Il villaggio viene inaugurato nel 1966 dal cardinale Giacomo Lercaro ed accoglie all’inizio circa 2500 persone.
Si dà in questo modo risposta ad una domanda abitativa assai pressante in quegli anni (un altro analogo intervento si realizza alla Barca) ma secondo una modalità ben diversa da quella dei villaggi INA Casa: il Pilastro nasce come villaggio “dormitorio”, isolato e lontano dalla città, totalmente privo di servizi e di esercizi commerciali, abitato da un ceto popolare non integrato nel contesto cittadino.
Non ho mai abitato al Pilastro ma vivo con la mia famiglia in S.Donato dal 1968. Sono anni nei quali è assai vivo il sentimento di una partecipazione alla vita civile ed ecclesiale e forte lo spirito di volontariato. Il Pilastro pare un luogo “ideale” per attrarre la presenza di giovani impegnati socialmente. Dal 1970 inoltre sono entrato a far parte del Consiglio di Quartiere S.Donato ed ho assunto la presidenza della Commissione Servizi Sociali.
Nasce da qui la mia conoscenza del Pilastro, dove si costituisce immediatamente un Comitato Inquilini, formato dagli abitanti più sensibili e disponibili alla partecipazione i quali benchè politicamente schierati su posizioni diverse (in quegli anni la contrapposizione è assai forte), collaborano positivamente per la risoluzione dei tanti e gravi problemi del villaggio. Il Comitato aveva sede in uno scantinato. Ricordo bene figure come Angiolino Vecchi (democratico cristiano), Oscar De Pauli e Luigi Spina (socialcomunisti, il primo tuttora attivo ed il secondo a cui è stata intitolata poi la biblioteca pubblica). Il Comitato si pone come interlocutore dello IACP con il quale apre tutta una serie di vertenze per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita nel villaggio.
Nel frattempo cominciano a spuntare i primi negozi ed i primi servizi: la scuola elementare e materna, l’asilo nido (a quell’epoca le iscrizioni e le graduatorie per l’accesso erano gestite dal Quartiere), il poliambulatorio, la cui prima sede è al pianterreno di uno dei palazzoni del villaggio, in via Trauzzi. Ricordo le tante assemblee realizzate con i cittadini per parlare dell’importanza della prevenzione e per illustrare le prime prestazioni, tra le quali le cure ortognatodontiche a prezzo calmierato. Non posso fare a meno di citare il “mitico” dr.Diego Brescia, medico scolastico (a quei tempi esistevano ancora….) che svolse in quegli anni un’opera straordinaria.
C’era anche la chiesa, collocata per molti anni all’interno di un prefabbricato, ed una comunità parrocchiale molto viva, a presiedere ed animare la quale si sono succeduti negli anni tanti parroci , da don Sarti fino a don Grossi (che è stato da ragazzo un mio scout) e cappellani.
A proposito di volontari, fu in quegli anni che feci la conoscenza, proprio al Pilastro, di Amelia Frascaroli e di un gruppo di giovani della Congregazione Mariana che tenevano un doposcuola ed altre attività a favore dei bambini.
Nel frattempo, da un lato il Pilastro si viene arricchendo e completando in termini di servizi (i negozi, il centro commerciale, la scuola media, il centro sociale, il palazzetto dello sport, i campi sportivi e la piscina), dall’altro si manifestano episodi di tensione sociale (occupazioni abusive) e di criminalità comune che, enfatizzati dai mezzi d’informazione, assegnano al villaggio uno stigma negativo: c’è chi si vergogna di stare al Pilastro, chi non manda i propri figli alle scuole medie Saffi, anche per evitare di ritrovarsi in una classe nella quale i figli degli stranieri (ormai assegnatari di molti alloggi del villaggio) sono in maggioranza. A completare il quadro l’uccisione dei tre carabinieri da parte dei terroristi della banda della Uno bianca del gennaio 1991, oltre ad altri episodi di criminalità comune (banda dei bancomat) dove gli organi d’informazione non perdono l’occasione per segnalare, tra i responsabili, residenti del Pilastro, cosa che, ovviamente, non accade per altre zone della città.
Nonostante ciò il percorso per migliorare le condizioni di vita degli abitanti del Pilastro prosegue incessantemente su due binari.
Da un lato l’amministrazione comunale s’impegna per correggere gli errori iniziali (isolamento e mancanza di servizi): dal punto di vista urbanistico la realizzazione del villaggio S.Giorgio, tra la tangenziale ed il Pilastro contribuisce a dare una continuità al tessuto urbano; il parco Pasolini e gli orti di via Salgari offrono occasioni di socializzazione e migliorano la vivibilità del comparto; anche gl’insediamenti a nord del villaggio (Meraville, Business Park, Facoltà di Agraria) riqualificano il tessuto della periferia; la costruzione del cosiddetto Virgolone, composto da alloggi di edilizia pubblica, di edilizia cooperativa privata ed a proprietà indivisa punta a realizzare quel mix culturale e sociale che era mancato all’origine del villaggio. Anche la previsione dell’attestamento al Pilastro della prima linea della tranvia in fase di progettazione va nella direzione di una definitiva integrazione del Pilastro nella città. Vale infine la pena di ricordare, sul piano della legalità e del contrasto alla criminalità, l’impegno di ACER per eliminare le occupazioni abusive e per gestire la conflittualità e la litigiosità di vicinato, e l’imminente ultimazione di una caserma dei Carabinieri, che ha anche un valore simbolico rispetto all’eccidio del 1991.
Tutto questo non basterebbe se non fosse stato accompagnato da un costante impegno degli abitanti e delle diverse associazioni presenti sul territorio, impegno che ha portato, tra l’altro, alla istituzione di circoli (come quello della Fattoria) e centri (come la Fattoria didattica), assai frequentati. Da ultimo (ma certamente ne dimentico ancora tanti) vorrei ricordare la compagnia Laminarie nella Cupola Dom che svolge da tempo un’intensa attività culturale e teatrale, e che ha realizzato di recente AmpioRaggio, una web tv che settimanalmente produce e mette in onda servizi sulla vita del Pilastro, creatura nata anche sulla scia di Teletorre 19, forse la prima tv condominiale del nostro paese, realizzata per iniziativa di Gabriele Grandi.
Insomma e per concludere. Il Pilastro non è il Paradiso ma se guardo al percorso di questi 55 anni che ci separano dalla sua nascita, non posso più applicare ad esso la qualifica di “non luogo”: il villaggio ha una sua identità, una storia (che ho cercato brevemente di riassumere) ed ospita una fittissima rete di relazioni.
So per certo che per molti dei suoi abitanti, essere del Pilastro non è più motivo di vergogna ma di orgoglio.