Piove sul bagnato
A proposito dei tragici disastri che hanno colpito l’Emilia Romagna in questi giorni sono andato a ripescare ciò che avevo scritto 9 anni orsono, nel 2014 e che mantiene la sua validità.
Lo trascrivo nel seguito:
Ogni volta che nel nostro paese muoiono delle persone a causa di eventi cosiddetti “naturali” (una frana, un’alluvione…..), il che purtroppo accade abbastanza di frequente, si sente ripetere la solita litania: “ci vuole più prevenzione”, “costerebbe meno spendere in prevenzione che riparare i danni, oltre al dramma delle vittime” ecc. ecc. Anche il ministro dell’ambiente Galletti, qualche giorno fa, dopo i morti a causa della piena di un torrente nel trevigiano, non ha saputo andare oltre queste ormai scontate affermazioni, alle quali per la verità ha aggiunto l’impegno del governo a spendere un po’ di risorse già previste per interventi di difesa del suolo ma fin qui bloccate per i vincoli del patto di stabilità.
Credo che un governo come quello di Matteo Renzi debba andare oltre , provando a mettere nella sua agenda anche la riforma di questa materia (la difesa e la sicurezza del suolo e del territorio).
Non credo che si tratti d’inventare granchè di nuovo. Basterebbe prendere sul serio e, finalmente realizzare, quanto a suo tempo previsto in due documenti un po’ datati ma che mantengono intatta, a mio avviso, la loro validità.
Il primo è la ponderosa relazione della Commissione De Marchi, Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo, pensata a valle della disastrosa alluvione del Polesine (1951), istituita nel 1967, dopo i fatti drammatici del novembre 1966 (tra cui l’alluvione di Firenze): la relazione, pubblicata nel 1970, era il frutto di un’ ampia indagine generale del territorio nazionale e, in sintesi, proponeva, proprio per dare corpo al tema della prevenzione, un complesso d’interventi di difesa del suolo (per le diverse categorie di opere) da articolarsi nell’arco di un trentennio, con una intensificazione nei primi cinque anni ed una successiva maggiore diluizione nei successivi 10 e 15 anni. L’importo totale delle opere ammontava a poco meno di 9.000 miliardi di vecchie lire e la raccomandazione principale, completamente disattesa da tutti i governi che si sono succeduti fino ad oggi, era quella di dare continuità all’attuazione del programma.
Il secondo è la legge n.183/1989 (“Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”), che compie pertanto 25 anni e che prevede soprattutto la necessità che le politiche di difesa del suolo vengano declinate ed attuate tenendo conto della dimensione del bacino idrografico, dando vita, a seconda del rango dei corsi d’acqua interessati, alle Autorità di bacino di livello nazionale, interregionale o regionale.
Vorrei ora provare, sulla base di un’esperienza professionale ormai datata ma, spero, ancora utile, ad esprimere qualche considerazione per chiarire l’articolazione complessa delle problematiche della difesa del suolo, che sembra essere ormai dimenticata e trascurata.
Innazitutto occorre tenere presente che esiste una responsabilità primaria dei privati proprietari dei terreni, sia in montagna che in pianura. A proposito del tragico evento di esondazione del torrente Lierza in provincia di Treviso, costato la morte a quattro persone, si è letto di una possibile concausa attribuita alla proliferazione dei vigneti che avrebbero contribuito ad aggravare gli effetti di una pioggia particolarmente intensa. Io non so se questo possa essere vero, nel caso specifico.
So peraltro che praticamente tutto il territorio collinare e montano del paese è sottoposto a vincolo idrogeologico e che chiunque intenda effettuare movimenti di terreno sulla propria proprietà, deve chiedere un’autorizzazione che viene rilasciata sotto il controllo del C.F.S. (Corpo Forestale dello Stato), il quale, se del caso, impone le necessarie prescrizioni sulla base delle cosiddette Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale, un insieme di norme tecniche finalizzate a garantire la stabilità dei terreni e delle pendici, norme che, ad esempio, vietano determinate modalità di lavorazione dei suoli agricoli in montagna ed impongono precisi criteri di regimazione delle acque a carico dei proprietari. Come spesso accade nel nostro paese, non sono le norme che mancano ma piuttosto gli strumenti e la volontà di applicarle. E’ per questo motivo, ad esempio, che a mio avviso il C.F.S. andrebbe assolutamente potenziato in quanto custode dell’assetto dei terreni collinari e montani e delle zone boscate,ed essendo dotato di adeguata professionalità e dei poteri di polizia giudiziaria.
Un altro organismo tecnico che potrebbe contribuire ad un’ efficace politica preventiva in materia di difesa del suolo sono i Consorzi di bonifica. Si tratta di enti che riuniscono i proprietari dei terreni di una certa zona o bacino idrografico o (in pianura) scolante. Il loro compito è quello di eseguire, in montagna, la manutenzione delle opere idraulico-forestali di competenza dei privati, e, in pianura, la costruzione e la gestione degl’impianti d’irrigazione e di scolo che da un lato sono a servizio delle attività agricole e, dall’altro, evitano che i terreni depressi vengano invasi dalle acque di pioggia. Naturalmente mantenere in vita i Consorzi di Bonifica ha un costo, a carico dei proprietari dei terreni e se in pianura, grazie al reddito dell’attività agricola ed al valore dei terreni, questo risulta economicamente sostenibile, in montagna, per le medesime ragioni, ma in senso opposto, l’attività dei Consorzi è più limitata e meno efficace ed andrebbe sostenuta con contributi pubblici.
Ancora sia in montagna che in pianura si tratta di limitare al massimo l’impermeabilizzazione del territorio, onde evitare la diminuzione dei tempi di corrivazione ed il rischio di piena dei corsi d’acqua. In pianura, se del caso, a fronte di una impermeabilizzazione inevitabile si tratta di prescrivere e d’imporre la realizzazione di vasche di laminazione degli afflussi di pioggia.
Fin qui, sia pure sommariamente, gli obblighi e gl’impegni dei privati.
Ma in materia di difesa del suolo c’è, ovviamente, un imprescindibile ruolo del pubblico.
Intanto gli enti proprietari e gestori d’infrastrutture (strade, autostrade, ferrovie) per garantire la sicurezza delle medesime sono tenuti, soprattutto in montagna, a monitorare la stabilità dei versanti ed eventualmente ad intervenire a proprie spese con le necessarie opere di consolidamento.
Sempre nel territorio montano, in presenza di grossi movimenti franosi la cui stabilizzazione comporta spese insostenibili da parte dei privati, è indispensabile intervenire con fondi pubblici, regionali o statali.
Da ultimo c’è poi il grande tema degli alvei e delle opere idrauliche. I corsi d’acqua scorrono tutti in terreno demaniale e sono pertanto di competenza pubblica (regionale o statale a seconda della loro classificazione). Qui si pone pertanto un altro impegnativo ed oneroso capitolo della difesa del suolo, vale a dire quello della prevenzione delle erosioni alveali (con conseguente crollo di ponti e manufatti), del cedimento o sormonto di argini (con relativi allagamenti ed inondazioni).
Ancora una volta questi fenomeni possono essere causati da un cattivo ed improvvido uso del territorio (insostenibile cementificazione) o da dissennati interventi come il tombamento di torrenti o le costruzioni in zona golenale, il che rinvia a responsabilità politico-amministrative (assenza di pianificazione urbanistica o di controllo edilizio). Ma, detto ciò, compete alle autorità idrauliche (regionali o nazionali) dotarsi di strumenti di previsione delle piene ed intervenire con le necessarie opere idrauliche di difesa e di manutenzione dei corsi d’acqua.
Tutto questo ha un costo non indifferente che va posto a carico della fiscalità generale. E qui torniamo alle conclusioni della Commissione De Marchi, disattese da una politica imprevidente.
Io credo, riprendendo quanto dicevo all’inizio, che il governo Renzi renderebbe un immenso servizio al paese ed acquisirebbe grandi meriti, se in materia di dissesto idrogeologico e di sicurezza del territorio, invece di balbettare come tutti i governi che l’anno preceduto, invocando giustificazioni come i cambiamenti climatici (bombe d’acqua ecc.) che ci sono per davvero ma che rappresentano al massimo un’ attenuante delle responsabilità pubbliche, sapesse pronunciare una coraggiosa parola di consapevolezza e di verità, assumendo di fronte al paese l’impegno ad intraprendere, nonostante le difficoltà della spesa pubblica, una decisa inversione di marcia , rivisitando ed aggiornando, ad esempio, la metodologia utilizzata dalla Commissione De Marchi, mettendo a punto un programma pluriennale d’intervento, sulla base di una scala di priorità e verificando la validità e l’attualità dell’impianto della legge 183, ridefinendo eventualmente con chiarezza il quadro delle competenze istituzionali in materia. Infatti una delle ragioni che spesso bloccano o ritardano gl’interventi in materia di difesa del suolo, oltre alla mancanza di risorse, è l’incertezza su chi debba intervenire, la confusione e lo “scaricabarile” delle competenze, tanto che non è esagerato affermare che il dissesto del territorio è anche il frutto di una sorta di “dissesto istituzionale” che affligge il nostro paese.
Pochi mesi dopo il governo Renzi istituì l’unità di missione Italia Sicura. Ecco ciò che scrissi a commento:
E’ ancora presto per affermare che il governo Renzi ha cambiato passo. Voglio comunque sperare che l’istituzione della Struttura di Missione “Italia Sicura” presso la presidenza del Consiglio rappresenti il segno di una presa di coscienza della priorità che la lotta contro il dissesto idrogeologico rappresenta per il nostro paese.
Naturalmente il governo Conte1 si affrettò a cancellare la struttura di missione “Italia sicura”………..