I trasferimenti dei parroci
Il legame che si crea tra una comunità parrocchiale ed il presbitero che svolge in essa il ministero di parroco è sempre un legame assai stretto, che si consolida con il passare degli anni e che presenta risvolti umani e spirituali importanti.
Il trasferimento del prete ad altra/e parrocchia/e spezza questo legame e rappresenta un momento delicato e spesso non privo di conseguenze sia per la persona del prete sia per i singoli parrocchiani e per la comunità nel suo insieme. Lo dico sulla base di esperienze che ho vissuto direttamente o di cui sono stato reso partecipe da amici e conoscenti.
Col passare del tempo di solito le situazioni si riassestano: la comunità parrocchiale ed il nuovo parroco trovano un loro equilibrio pastorale, anche grazie alla eventuale presenza dei ministri istituiti che rappresentano un elemento di continuità e di memoria storica della tradizione di una parrocchia di cui il nuovo parroco, se è saggio, non potrà non tenere conto, soprattutto all’inizio del suo nuovo ministero. Una parrocchia infatti, con il passare degli anni, matura una propria identità a cui hanno concorso i presbiteri che si sono succeduti ma che è di fatto alimentata e custodita dai fedeli laici.
Ma non è sulle diverse reazioni positive o negative, di soddisfazione o di disagio che possono toccare le singole persone in occasione del trasferimento di un parroco che intendo soffermarmi, ma sulle modalità con cui questo trasferimento di norma avviene.
Da quanto mi risulta tali modalità da sempre consistono in un colloquio tra vescovo e presbitero interessato, nel quale viene comunicata la nuova destinazione ed in una comunicazione che il parroco uscente fa alla sua comunità.
Mi sono sempre chiesto (senza avere una risposta) se nel decidere questi trasferimenti, che di solito avvengono in serie (A va a B, B va a C, C va a D,E,F e così via) venga utilizzato qualche criterio di discernimento o se ci sia molto di arbitrario e discrezionale. E soprattutto mi sono chiesto se non fosse possibile introdurre, in un evento di tale delicatezza, qualche modalità che valorizzasse le relazioni tra vescovo, presbiterio e comunità ecclesiale. Ad esempio un’assemblea parrocchiale o zonale nella quale il vescovo o un suo vicario venisse ad illustrare le ragioni dei cambiamenti ed i criteri adottati, ascoltando e rispondendo alle eventuali domande. Vorrei essere chiaro. Una tale assemblea risponderebbe a motivazioni di trasparenza e di corresponsabilità (che ha come presupposti la comunicazione, l’ informazione e la consapevolezza) e non di partecipazione democratica: nella Chiesa non vige la democrazia, non si decide a maggioranza se un parroco si sposta oppure no.
Mi sono anche chiesto se di questo tema, a mio giudizio delicato, si sia mai discusso in organismi di partecipazione ecclesiale (CPP, CPD). Se sì sarei lieto di conoscere gli esiti e le eventuali ricadute di tale discussione in procedure strutturate. Quello che so è che su questo tema ci sono molti, troppi chiacchiericci e mormorazioni.
Ma ormai i tempi sono cambiati. Siamo alla fine del secondo anno del cammino sinodale della Chiesa italiana e ci apprestiamo all’ Assemblea generale del sinodo dei vescovi della Chiesa universale sul tema della sinodalità, che si svolgerà nel prossimo ottobre.
Mi hanno particolarmente colpito due recenti documenti.
Dalla sintesi del percorso sinodale della diocesi di Bologna, presentata il 15 giugno scorso ed inviata alla segreteria del Sinodo come contributo della nostra diocesi.
1) Lo stile sinodale permanente nella Chiesa
Al cuore del cammino sinodale c’è la questione del metodo. Il sinodo è il tentativo di avviare una conversione profonda della coscienza delle nostre comunità, stimolando scelte operate come Popolo di Dio attraverso un discernimento in comune.
Riconosciamo l’esistenza di più livelli del “camminare insieme”. Ma se è vero che siamo una corresponsabilità di battezzati, se è vero che il sinodo ci insegna un nuovo stile di camminare insieme nella Chiesa, le scelte devono sempre partire da un ascolto diffuso e non dal solo vescovo (o dal solo parroco). I vescovi dovrebbero fare tesoro di quanto emerge e partire dall’ascolto.
Fondamentale è fare le cose insieme, entrare in una forma di discernimento che sia espressione di un sentire più ampio.
Da: LE ZONE PASTORALI PER UNA NUOVA FORMA DI CHIESA
9. GLI AVVICENDAMENTI DEI PARROCI COME OCCASIONE DI RINNOVAMENTO COMUNITARIO
Il cammino di rinnovamento non riguarda unicamente il parroco, né può essere imposto dall’alto,
escludendo il Popolo di Dio; ogni progetto va situato nella vita reale di una comunità e innestato
in essa senza traumi, con una fase di previa consultazione e una di progressiva attuazione e di
verifica; è opportuno il superamento tanto di una concezione autoreferenziale della parrocchia,
quanto di una “clericalizzazione della pastorale” (cf. Istruzione “La conversione pastorale della
comunità Parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” a cura della
Congregazione per il Clero, anno 2020, nn. 34- 40).
Un momento della vita delle Zone Pastorali, in cui questo aspetto si presenta con tutta la sua evidenza, è quello degli avvicendamenti dei parroci, tenendo presente che spesso significherà che una comunità cristiana non avrà più il parroco residente o il parroco solo per sé, con cambiamenti che coinvolgono tutta la Zona. In occasione in cui un sacerdote diventa parroco di più parrocchie
spesso non c’è una comunicazione chiara e ciò amplifica la fatica di mettersi insieme, la diffidenza
e il disorientamento (C. Past. 12.12.22).
Per vivere il passaggio degli avvicendamenti, occorre un tempo dilatato in cui le comunità
possano essere accompagnate a viverlo impostando nel modo più condiviso possibile il cammino
futuro. É emersa la richiesta che il vicario generale convochi un’assemblea parrocchiale, o anche
solo il Consiglio Pastorale, in ogni parrocchia coinvolta, per far crescere la conoscenza reciproca
e lo spirito di collaborazione.
Dopo avere letto questi documenti mi sono detto: “Finalmente le cose cambiano. Ecco i primi frutti dei due anni di ascolto del cammino sinodale!”
Poi, il 25 giugno scorso, un’amica mi ha telefonato amareggiata e sorpresa: il suo parroco ha comunicato durante l’omelia domenicale che lascerà la parrocchia.
Il 2 luglio nella mia parrocchia è stata data lettura della comunicazione con cui il cardinale arcivescovo informa del trasferimento del parroco ad altre tre parrocchie e del fatto che sarà sostituito dal parroco della parrocchia a noi limitrofa.
Amen!