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Mario Draghi
Si sapeva da tempo che i mesi estivi ed autunnali sarebbero stati difficili per il governo di unità nazionale, perchè avvicinandosi alle elezioni i partiti avrebbero cominciato ad “agitare le loro bandierine” per motivare ed allargare i rispettivi elettorati mettendo in crisi la coesione dell’alleanza e problematica l’approvazione dei provvedimenti dell’esecutivo. E così prima Conte, poi a ruota Lega e FI hanno cominciato a creare difficoltà e ricatti. Lo stesso PD non ha rinunciato a spingere per l’approvazione di una legge sacrosanta come lo “ius scholae”, che non chiamava in causa il governo ma che ha dato pretesto alle destre per invocare il “liberi tutti”.
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M5S, Lega e FI, in evidente imbarazzo, non hanno avuto il coraggio di votare contro la fiducia a Draghi al Senato e hanno abbandonato l’aula o addirittura (i 5S) erano presenti e non votanti, somma ipocrisia. In aggiunta non hanno nemmeno ritirato i loro ministri dal governo. Come ulteriore segno di immaturità politica non si sono nemmeno assunta la responsabilità di aver fatto cadere il governo (giudicandolo implicitamente un fatto negativo) scaricandone la colpa gli uni sugli altri, compreso Draghi che secondo Berlusconi era ormai stanco.
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Sia nel M5S che nella Lega che in FI il ritiro della fiducia al governo ha generato divisioni e contrasti più o meno profondi fino a scissioni e dimissioni “pesanti”.
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La breve campagna elettorale che ci porterà al voto fra due mesi è cominciata subito in modo “sgangherato”. Berlusconi che aspira (come minimo) a diventare presidente del Senato, ha promesso pensioni superiori a 1000€ (già sentito) e 1 milione di alberi (ignorando che il PNRR ne prevede già 6 milioni). Salvini da parte sua ha rispolverato flat tax, pace (leggi: condono) fiscale, pensioni più facili, blocco della immigrazione. Naturalmente nessuno specifica risorse e modalità di attuazione delle proposte.
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Pare che Giorgia Meloni stia facendo scouting per trovare ministri tecnici (e competenti) per il suo futuro (?) governo.
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Non sarà un caso che da quando esiste la nostra Repubblica non si sono mai svolte elezioni politiche nei mesi autunnali. Infatti sarà un problema che il nuovo governo riesca a fare approvare dal Parlamento la legge di bilancio entro la fine dell’anno.
Guerra in Ucraina
Sono ormai tre mesi da quando, il 24 febbraio scorso, le truppe russe hanno invaso il territorio dell’Ucraina. La sensazione, per come la percepisco dalle notizie che quotidianamente mi giungono attraverso i mass media, è che qualcosa si stia muovendo in termini di un cambiamento negli atteggiamenti dei principali attori di questo sanguinoso conflitto, i presidenti della Federazione Russa e dell’Ucraina. I colloqui tra le parti in causa ed i loro alleati hanno ripreso ad infittirsi, le sanzioni più dure stentano ad essere applicate a causa delle resistenze di chi, oltre alla Russia, ne subirebbe le conseguenze, la conquista di Mariupol e la resa dei combattenti asseragliati nell’acciaieria Azovstal, le trattative per lo scambio dei prigionieri, infine le proposte per giungere al cessate il fuoco e, successivamente, ad una pace non effimera.
Mi viene da pensare (da sperare) che a questo punto basterebbe un colpo d’ingegno ( e di saggezza) da parte di qualcuno dei protagonisti del conflitto per suscitare una reazione a catena positiva, una “spirale di pace” dalle conseguenze al momento imprevedibili.
Il governo italiano mi sembra particolarmente attivo in questa fase nel tentare una mediazione.
La proposta avanzata nei giorni scorsi è basata su 4 punti che seguono una sequenza logica. Continua…
Serafino D'Onofrio
Ho conosciuto Serafino D’Onofrio nella primavera del 2004, quando fummo entrambi eletti in Consiglio comunale, dopo l’entusiasmante campagna elettorale e l’elezione a sindaco di Bologna di Sergio Cofferati. Facevamo entrambi parte della coalizione di maggioranza, io appartenente alla Margherita (confluita poi nel 2007 con i Democratici di Sinistra nel Partito Democratico), Serafino, proveniente da una cultura politica socialista, eletto nella lista Società Civile Di Pietro-Occhetto, che cambiò poi il suo nome in Società Civile-Il Cantiere. Di fatto D’Onofrio, insieme ai due consiglieri dei Verdi (Celli e Panzacchi) e ai due di Rifondazione Comunista (Monteventi e Sconciaforni) diede vita al raggruppamento informale de “L’altra sinistra” che assunse fin da subito un atteggiamento critico, appunto da sinistra, nei confronti della giunta Cofferati.
Di questo gruppo Serafino rappresentava l’anima ironica fino ad un pungente sarcasmo ma sempre rispettosa e mai offensiva. Ascoltavo con interesse i suoi interventi anche quando non ne condividevo (e non glielo mandavo a dire) il contenuto. In ogni caso le polemiche con D’Onofrio non erano mai accompagnate da rancore: il suo sorriso stemperava e sdrammatizzava sempre il dissenso e riportava la relazione interpersonale su registri amichevoli. Qui veniva fuori la sua origine partenopea, rivelata dal suo accento. Era nato infatti a Napoli nel 1952, ma era ormai bolognese d’adozione, giunto tra noi all’età di 25 anni. E nella nostra città ha vissuto tutta la sua vita affettiva, professionale e d’impegno civile e politico.
Sposato con due figli, laureato in giurisprudenza, ha lavorato in Trenitalia. Dirigente sindacale e politico nel Partito Socialista Italiano è stato anche consigliere di quartiere a S.Stefano ed amministratore nell’ Azienda Trasporti Consortile. Ha poi operato, assumendo anche cariche dirigenziali, in diverse associazioni culturali e sportive, unendo all’impegno nella società civile una forte sensibilità politica.
Ma vorrei tornare agli anni della comune ed entusiasmante esperienza in Consiglio comunale. Continua…
Guerra in Ucraina
In questi venti giorni di guerra in Ucraina, le immagini, gli articoli di stampa, i filmati, ci hanno fatto provare angoscia, indignazione, paura, pietà, solidarietà…… Abbiamo cercato di capire, di formarci un’opinione, di formulare ipotesi che contenessero una speranza di soluzione al dramma che la popolazione ucraina sta vivendo.
Da tutto ciò che ho visto ed ho letto in questi venti giorni ricavo alcune certezze che condivido con la quasi totalità dei miei interlocutori ed una domanda a cui do risposta con qualche dubbio.
Le certezze.
Netta la condanna nei confronti di Putin che ha scatenato la guerra invadendo e bombardando l’Ucraina.
Giusta l’applicazione di sanzioni economiche nei confronti della Federazione Russa.
Doveroso ogni aiuto umanitario al popolo ucraino sia sul posto che attraverso l’accoglienza dei profughi.
Auspicabile che si giunga al più presto ad un cessate il fuoco ed alla pace a seguito di un negoziato che, attraverso equilibrate concessioni reciproche, restituisca all’Ucraina la sovranità sulla maggior parte del proprio territorio.
Ci sono poi altri aspetti sui quali evito di pronunciarmi con la stessa sicurezza, o perchè mi sembrano irrilevanti rispetto alla gravità della situazione attuale (ad esempio tutto il dibattito sulle responsabilità remote della Nato e dell’occidente), o perchè mi ritengo incompetente (per quanto riguarda lo status di neutralità futura dell’Ucraina, l’adesione auspicabile alla Comunità europea, e quella improbabile alla Nato).
Ma c’è un punto sul quale il dibattito ed il confronto è particolarmente acceso ed è quello che riguarda la domanda: “E’ legittimo ed opportuno aiutare la resistenza ucraina attraverso la fornitura di armi?” Continua…
Al dolore per la guerra e per le sofferenze del popolo ucraino si aggiunge per un credente la tristezza e la delusione di fronte alla frammentazione ed al silenzio delle chiese ortodosse, condizionate dal loro carattere nazionalista ed incapaci di una parola di pace e di fraternità. In questa situazione la religione è irrilevante se non addirittura complice del conflitto.
PD di Bologna
La lettura dell’articolo di Silvia Bignami su Repubblica Bologna di ieri, dedicato alle polemiche in merito alla formazione della direzione provinciale del PD mi ha causato amarezza e delusione.
L’articolo infatti fotografa nei dettagli la geografia delle correnti che, sulla base dei risultati congressuali, degli accordi successivi e di un manuale Cencelli sempre di attualità, si suddividono i posti da occupare in assemblea, direzione e segreteria della federazione bolognese del partito.
Bignami riporta i nominativi dei leaders di riferimento nazionale e locale delle diverse correnti, dimenticandone alcuni (immagino per ragioni di spazio). Sarebbe arduo provare ad elencare, sia pure per sommi capi, i valori, gl’ideali e le peculiarità politico-programmatiche specifiche di ogni corrente. L’articolo parla soltanto di “progressisti” e “moderati”, categorie di comodo e del tutto generiche.
Il fatto è che le correnti servono soprattutto ad organizzare il consenso, attorno ai leaders ed agli aderenti, in occasione delle elezioni e delle nomine alle cariche istituzionali e delle aziende partecipate. Il rischio è quello di trasformare (direi trasfigurare) il PD in un comitato elettorale.
Tra un’elezione (nazionale o locale) e l’altra, si affievolisce l’attività politica , così come il tramite tra iscritti (e simpatizzanti) ed eletti, che il partito dovrebbe curare in modo da dare continuità a quell’azione di partecipazione, proposta, indirizzo e controllo che è il sale della democrazia.
Lo dico, ripeto, con amarezza e delusione, da iscritto al PD (e non ad una corrente) dalla fondazione, chiedendomi se basti la semplice fedeltà a motivare la tessera.
Il calo degl’ iscritti non è dovuto al fato o ad una generica disaffezione dalla politica.
Sergio Mattarella
Sono andato a rileggermi i due post che avevo dedicato alla elezione del Presidente della Repubblica rispettivamente il 29 novembre ed il 9 gennaio scorsi. In entrambi mi ero pronunciato con diverse motivazioni ed in modo netto a favore della permanenza di Mario Draghi nel ruolo di primo ministro e della prosecuzione dell’esperienza di governo attuale. Sono contento che la sofferta rielezione di Mattarella come Presidente della Repubblica abbia prodotto anche questo risultato che giudico positivo e necessario per il nostro paese.
Sono ovviamente contento anche della riconferma di Mattarella, benchè sia questo l’esito dell’ennesima manifestazione della crisi che caratterizza da tempo il nostro sistema politico-istituzionale, crisi di leadership e di cultura politica. I dirigenti dei principali partiti non sono stati in grado di individuare ed eleggere una figura “super partes” e “di alto profilo” (queste le caratteristiche da tutti richiamate in modo concorde), non perchè (credo) non ne esistessero ma perchè ciascuno, al di là delle dichiarazioni ufficiali, preferiva tenere d’occhio il proprio interesse di parte.
In questa gara a chi faceva peggio si sono segnalati in particolare, secondo me, Matteo Salvini, tanto parolaio ed esibizionista, quanto incapace di svolgere in modo efficace il ruolo di kingmaker che si è autoassegnato, e Giuseppe Conte, tanto forbito e ricercato nell’eloquio, da buon avvocato, quanto ondivago e inconcludente nei risultati.
La speranza è che le tossine di questa settimana non guastino in modo irreversibile il clima all’interno del governo: toccherà a Draghi cercare di evitarlo.
Quirinale
In un mio post di qualche tempo fa (“Chi mi aiuta a capire?”) avevo dato conto di alcuni problemi istituzionali che ci sarebbe da risolvere nel caso in cui Draghi transitasse direttamente da palazzo Chigi al Quirinale. D’altra parte non credo sia casuale il fatto che dalla nascita della Repubblica ad oggi nessun Presidente del Consiglio sia passato direttamente dalla sua poltrona a quella di Capo dello Stato.
I due ruoli sono profondamente diversi, per quanto riguarda compiti e profilo richiesto.
Non ho dubbi che Draghi potrebbe essere un degno Presidente della Repubblica. Ritengo tuttavia che se ciò avvenisse, il vuoto che si aprirebbe alla guida del governo non sarebbe colmato senza lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni, prospettiva questa preoccupante con la pandemia in corso e con la gestione del PNRR che non consentono a mio giudizio soluzioni di continuità nell’azione di governo ed una campagna elettorale prevedibilmente assai conflittuale.
Sento definire Draghi, con un certo disprezzo, “amministratore delegato”. Non capisco perchè.
L’azienda Italia ha bisogno di un amministratore capace e Draghi lo è. Se i partiti di maggioranza (soci del cda) gli conferiscono deleghe ampie e non sanno o non vogliono dare indicazioni vincolanti, non ci si può lamentare più di tanto dell’autorevolezza dell’amministratore delegato.
In estrema sintesi ritengo che nella delicata situazione attuale sia decisamente più facile eleggere un Presidente della Repubblica degno del suo ruolo che insediare un nuovo Presidente del Consiglio. Conclusione: Draghi resti dov’è fino al termine naturale della legislatura.
“Anche nel 2022 ogni quartiere di Bologna avrà 12 nuovi alberi, uno per ogni mese del calendario, nel quale potranno riconoscersi i bambini e le bambine nati nei vari periodi dell’anno. Il Comune infatti, da un paio di anni ha deciso di piantare 72 nuovi alberi per festeggiare i nuovi bambini nati o adottati”.
Quando ho letto questa notizia mi è venuto da pensare che 72 nuovi alberi all’anno sono davvero molto pochi. D’altra parte, ho pensato ancora, quanti alberi si dovrebbero piantare se si decidesse di piantarne uno per ogni nuova nascita o adozione? E’ anche vero che a Bologna, come nel resto d’Italia, siamo in presenza di un vero e proprio “inverno demografico”.
Partendo da questi pensieri sparsi sono andato a documentarmi.
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Qualche tempo fa il dirigente del settore ambiente e verde del Comune dichiarò che nel territorio comunale non c’erano spazi sufficienti per piantare un nuovo albero per ogni nuovo nato.
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Consultando la pubblicazione (http://inumeridibolognametropolitana.it/studi-e-ricerche/nascere-bologna-le-tendenze-della-natalita-citta-2020) ho potuto constatare che a Bologna, dopo il massimo assoluto di 7.083 nascite registrato nel 1964 durante il baby boom, è seguito oltre un ventennio di denatalità che ha toccato il minimo (2127) nel 1986. In controtendenza rispetto al nostro paese, sotto le Due Torri la ripresa della natalità della seconda metà degli anni ’90 è andata consolidandosi fino a raggiungere i 3.296 nati nel 2014, il livello più alto registrato dal 1977. In questi ultimi anni la media delle nascite si è aggirata attorno alle 3000 unità.
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Il PAESC (Piano d’azione comunale per l’energia sostenibile ed il clima) prevede che fino al 2030 vengano piantati 1300 nuovi alberi in media all’anno, per gli effetti positivi che essi hanno in termini di assorbimento della CO2 e per la mitigazione delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Credo che questo obiettivo potrà essere raggiunto con relativa facilità, anche grazie alla collaborazione dei privati: penso ad esempio ai 300 alberi piantati di recente nel giardino Primo Levi, grazie al contributo di Assicoop ed alle tante nuove alberature (con oneri a carico di ASPI) previste nell’ambito della costruzione del Passante nei parchi pubblici che hanno spazi disponibili come, nel quartiere S.Donato-S.Vitale, all’Arboreto, alla fascia boscata di S.Donnino e in altre aree.
Conclusioni. Il mio auspicio, che corrisponde anche ad una necessità, è che nei prossimi anni cresca, rispetto ad oggi, sia il numero dei nuovi nati che quello dei nuovi alberi, segno entrambi di speranza e fiducia nella vita.
Con la fine dell’anno ed in attesa del consueto e documentato rapporto di Arpae sulla qualità dell’aria nel 2021 è già possibile fare qualche considerazione di segno positivo, almeno sulla concentrazione delle polveri sottili PM10 a Bologna.
Nel corso del 2021 ci sono stati 29 superamenti del limite di legge di 50 mcrgr/mc. Non è stato superato pertanto il numero limite pari a 35. Nel 2020 i superamenti erano stati 42.
Sarà interessante verificare se questo oggettivo miglioramento sarà confermato anche dal dato (più rappresentativo della qualità dell’aria) della media annua. Nel 2020 il valore era stato di 26 mcrgr/mc, nettamente inferiore al limite di legge, pari a 40 mcrgr/mc.
Se confrontiamo poi Bologna con gli altri capoluoghi di provincia dell’Emilia-Romagna, vediamo che solo a Forlì le cose sono andate meglio (24 superamenti). Peggio in tutti gli altri casi, sia ad ovest (Modena 62, Reggio 51, Piacenza 45, Parma 42) che ad est (Ferrara 42, Rimini 36 e Ravenna 33). Ricordo per inciso che i valori citati riguardano la centralina che in ogni città è giudicata rappresentativa delle condizioni di traffico urbano.
In attesa, come detto, delle valutazioni degli esperti di ARPAE, si può ragionevolmente ipotizzare che, al di là delle condizioni meteo di instabilità/stabilità atmosferica che influenzano in misura determinante la qualità dell’aria, possano aver pesato in senso favorevole, da un lato il miglioramento delle emissioni del parco veicoli in circolazione, dall’altro (magra consolazione rispetto alle conseguenze negative del riscaldamento globale) il regime di funzionamento ridotto degl’ impianti di riscaldamento.
Colgo l’occasione per aggiungere una riflessione sul tema “Passante e qualità dell’aria”, che torna di attualità dopo la recente delibera del comune di Bologna che dà il proprio definitivo assenso all’opera. Uno degli argomenti utilizzati da chi si oppone ai lavori è che il sistema raccordoA14/tangenziale è già oggi il maggiore responsabile dell’inquinamento atmosferico a Bologna e che le cose sono destinate a peggiorare con la realizzazione dell’ampliamento.
Ricordo che in anni passati ARPA (ex-ARPAE) ha svolto diverse indagini con il proprio laboratorio mobile. Da queste risulta che il contributo del sistema è diverso a seconda dei parametri considerati e della distanza dei ricettori dal nastro stradale, ma, in generale, i valori misurati nelle zone limitrofe alla tangenziale non si discostavano da quelli misurati dalla centralina di porta S.Felice. In secondo luogo per esprimere giudizi attendibili sarà bene attendere i risultati delle ulteriori campagne di monitoraggio che verranno effettuate in fase di anteoperam, le relative simulazioni modellistiche e le misurazioni in fase di cantierizzazione e postoperam, per avere conferma o meno degli effetti della prevista fluidificazione del traffico conseguente all’intervento e dell’ulteriore miglioramento del parco veicolare con incremento del ricorso all’elettrico.